di Andrea Intonti. Pubblicato su agoravox.it il 15 gennaio 2015.

Se la tenuta di Suvignano (Siena) rappresenta il più grande bene sequestrato alle mafie nel centro-Italia, nonché l’emblema di come la burocrazia possa rivelarsi alleata delle consorterie criminali, a Prato Don Chisciotte ha smesso di combattere contro i mulini a vento, che in questo caso portano i nomi dei clan della camorra infiltratisi nell’economia cittadina.

La catena di pizzerie, che faceva parte della Donchisciotte Holding srl, viene sequestrata nel 2012 ai fratelli Giacomo e Carlo Terracciano, di 60 e 63 anni, condannati in via definitiva per associazione a delinquere di stampo mafioso e ritenuti i referenti della camorra a Prato. Nel febbraio 2012 l’operazione “Ronzinante” della Guardia di Finanza definisce i contorni del vastissimo impero del clan, nato negli anni ’90 sotto la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo e capace di creare una associazione camorristica del tutto autonoma, basata su un impero economico fatto di catene di ristoranti, beni di lusso (yacht e auto), decine di immobili, e scuderie di cavalli tra Toscana, Basilicata, Lazio, Sicilia, Friuli, Emilia-Romagna e Umbria. L’operazione – che ha coinvolto anche Paolo Posillico, titolare delle pizzerie accusato di essere prestanome del clan – portò al sequestro di beni per 41 milioni di euro e fu la prima applicazione della legge 575/1965 in territorio toscano.

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