di Mike Scullin. Pubblicato su Il Resto del Carlino il 16 maggio 2017.

Seduto sul banco degli imputati di Aemilia, in prima fila vicino alll’avvocato Carlo Taormina, alla mezza Vincenzo Iaquinta giunge al punto di massima ebollizione. Il campione del mondo ha tenuto botta due ore e mezza, come una partita di calcio coi supplementari. Alle 10 aveva deposto per primo lui al maxiprocesso sulla detenzione illegale d’armi, e subito aveva avuto una crisi di angoscia: il pianto strozzato in gola, «Non ce la faccio più, oggi mi devo sfogare» aveva urlato. Il presidente Caruso gli aveva detto che non era lì per sfogarsi ma per rispondere alle domande, e gli aveva proposto una pausa. Ma Iaquinta si era ripreso, ed era tornato a rispondere, con la stessa veemenza che aveva quando in contropiede andava a far gol, «carro armato» lo chiamavano i tifosi bianconeri.

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