L’articolo di Francesco Dondi con cui la Gazzetta di Modena ha aperto l’edizione di stamattina chiarisce in modo lucidissimo il collegamento tra ricostruzione post-terremoto, radicamento mafioso e sfruttamento del lavoro.

Due sottolineature si impongono.

La prima: il sistema delle white list, come peraltro qualsiasi sistema di regole e sanzioni, è importantissimo, ma insufficiente e aggirabile.

E come si aggira? ” I lavoratori (delle imprese escluse dalla white list, n.d.r.) venivano formalmente prestati ad altre imprese per eseguire varie parti dell’appalto pur comunque restando legati alla casa madre, che invece non poteva né doveva risultare operativa nei progetti finanziati con soldi pubblici.”

Fatta la legge, trovato l’inganno. Non era molto diverso il meccanismo che usavano Michele Bolognino e la Bianchini Costruzioni: gli operai forniti da Bolognino venivano formalmente assunti da Bianchini, evitando in questo modo ogni riferibilità al primo.

La seconda sottolineatura: se vogliamo seguire le tracce del radicamento mafioso in Emilia-Romagna, non basta più seguire passo passo i processi di mafia, e nemmeno serve pretendere a gran voce che ogni Procura apra delle indagini per associazione mafiosa o per reati aggravati dal metodo mafioso.

Se vogliamo trovare le mafie, dobbiamo guardare altrove: i sintomi sono “l’assenza dei piani della sicurezza di cantiere, la mancanza di visite mediche degli operai e reati amministrativi”. E, in vicende del tutto simili, i reati societari e fallimentari, oppure le violazioni della disciplina urbanistica (si veda il caso di Serramazzoni, dove non sono contestati reati di mafia, ma di campanelli di allarme se ne sono accesi a decine).

Aspettare il grande processo di mafia sarebbe l’ennesimo abbaglio e i reati-spia oggi, in questo territorio, sono proprio questi.

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