Con questa seconda puntata chiudiamo la panoramica sui personaggi implicati nell’operazione Stige del 9 gennaio 2018 e coinvolti nelle vicende emiliano-romagnole.

– di Sara Donatelli –

Giuseppe Vrenna
Nato a Crotone nel 1951, inizia a collaborare con la giustizia nel 2010 e molti giudici ne hanno valutato positivamente l’attendibilità. Essendo stato, per tanti anni, in stretto contatto con i vertici dell’organizzazione criminale cirotana, Vrenna con le sue dichiarazioni ha portato un contributo all’operazione Stige. Ha deposto, lo scorso agosto, al processo Aemilia raccontando l’evoluzione e l’espansione della cosca Grande Aracri in Emilia Romagna.

Domenico Bonifazio
Imprenditore nato a Cutro (KR) nel 1944, scrivono gli inquirenti,

“pur non essendo inserito stabilmente nella struttura organizzativa del sodalizio, concorreva in esso assistendo, attraverso condotte attive e/o passive, le finalità dell’associazione di tipo ‘ndranghetistico denominata “Provincia” di Crotone cui è preposto Nicolino Grande Aracri, fornendo un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo ai componenti dell’associazione”.

Tra le tante le attività portate avanti da Bonifazio, gli investigatori scrivono:

“forniva agli esponenti della “provincia” di ‘ndrangheta notizie in relazione all’operato delle Forze dell’Ordine ed utilizzava esponenti qualificati della Provincia, in particolare Luigi Muto, proprio congiunto, per assicurarsi forniture dall’estero di pellet”.

Il suo nome compare tra le pagine dell’inchiesta Aemilia: il 6 novembre 2012 all’interno della sede della Bonifazio Trasporti S.r.l. si sviluppa un incendio di vaste proporzioni, che coinvolge ben nove autotreni,

“con un rogo che non ha precedenti – scrivono gli inquirenti – per il numero di veicoli dati alle fiamme contemporaneamente in un solo contesto delittuoso, in altre parti d’Italia, neppure in quelle tradizionalmente contrassegnate dalla presenza del crimine mafioso. Le modalità di sviluppo dell’incendio non lasciano dubbi sulla natura dolosa del fatto. Altrettanto indubbio, per quanto si avrà modo di vedere, l’atteggiamento di irresolubile e, forse, invincibile omertà che ha caratterizzato l’atteggiamento della intera famiglia Bonifazio, pur al cospetto di un danno economico di proporzioni facilmente intuibili (…). Da subito, tutti i familiari del Bonifazio negano di aver mai ricevuto minacce o richieste estorsive; escussi dal Pubblico Ministero , il titolare e le figlie Moraica e Deodata giungono a negare l’evidenza, pur in presenza di dati di sicuro rilievo oggettivo che testimoniano non soltanto una differenze lettura dei fatti ma, soprattutto, la circostanza che la famiglia , sapendo o temendo di essere intercettata, utilizza mezzi di comunicazione tali da sfuggire a possibili smagliature nella rete di protezione”.

A porre l’accento sull’atteggiamento della famiglia Bonifazio, è il Maresciallo Tagliamonte del Nucleo Investigativo di Reggio Emilia, chiamato a testimoniare al processo Aemilia:

“Non abbiamo potuto installare il materiale per le intercettazioni in casa Bonifazio a causa delle attenzioni costanti dei parenti. Una sorta di guardiania che ci ha impedito di installare il materiale per effettuare le intercettazioni ambientali. L’intera indagine è stata caratterizzata da un clima di omertà della famiglia”.

Domenico Bonifazio, insieme alle figlie, ha deposto lo scorso anno al processo Aemilia ed è stato più volte ammonito dal presidente della Corte Francesco Maria Caruso in quanto ha reso dichiarazioni contraddittorie e incomplete.

Angelo Salvatore Cortese
Inizia a collaborare con la giustizia nel 2007 e viene ritenuto da più giudici un pentito attendibile. Elemento di spicco della cosca di Cutro durante l’egemonia di Antonio Dragone, prima della presa di potere da parte di Nicolino Grande Aracri, durante la sua attività criminale ha stretto rapporti con la cosca Farao-Marincola e per questi motivi ha potuto riferire di alcuni affari gestiti insieme ad appartenenti alla cosca cirotana. Ascoltato durante il processo Aemilia, ha raccontato la struttura interna alla cosca Grande Aracri, spiegando alla Corte il ruolo svolto dai singoli esponenti. Cortese, durante la propria deposizione, ha definito l’Emilia come “un bancomat per tutti” e ha definito la cosca operante a Reggio Emilia come una “’ndrina distaccata”.

Francesco Oliverio
Inizia a collaborare con la giustizia nel 2012 e, scrivono gli inquirenti, “ha consentito una profonda introspezione negli affari e nell’organigramma della cosca cirotana in quanto è stato preposto del “locale” di Belvedere Spinello (KR), da sempre rientrante nella sfera di influenza della ‘ndrangheta cirotana”. Il suo nome è strettamente legato a tre personaggi coinvolti nell’operazione Stige. Si tratta di Luigino Comberiati, Salvatore Rizzo e Giuseppe Gallo accusati di aver aiutato Francesco Oliverio a “sfuggire alla esecuzione della misura di sicurezza detentiva presso una casa lavoro in Castelfranco Emilia, Modena, per la durata di anni uno disposta dal Tribunale di Sorveglianza di Milano”. Chiamato a deporre nel marzo 2017 durante il processo Aemilia, Oliverio ha spiegato alla Corte i suoi legami con l’Emilia Romagna:

“Avevamo già collegamenti con le cooperative emiliane come Unieco e Coopsette”.

Giuseppe Giglio
Arrestato a gennaio 2015 nell’operazione Aemilia, viene definito dagli inquirenti come

“il tipico imprenditore di ndrangheta, che contrae una sorta di patto scellerato, prima con le cosche isolitane, poi con la provincia cutrese, che finanzia continuamente, e in cambio ottiene ogni tipo di copertura – protezione, allorchè, specie nella consumazione di truffe, impatta imprenditori protetti da altre organizzazioni criminali. Giglio, in definitiva, si trasforma in una formidabile occasione di reimpiego di capitali ndranghetistici, nel ricco tessuto imprenditoriale di tutta la pianura padana”.

Adesso è un collaboratore di giustizia lungamente ascoltato durante il processo Aemilia ha svelato alla Corte le dinamiche affaristiche della cosca emiliana.

Giuseppe Clarà
È il pentito Giuseppe Giglio a riferire agli inquirenti di aver conosciuto Giuseppe Clarà in quanto quest’ultimo era un imprenditore che si occupava di raccolta e smaltimento rifiuti. Tra il 2012 e il 2013 Clarà ha acquistato l’azienda di Michele Colacino (imputato nel processo Aemilia, assolto in primo grado con rito abbreviato e condannato in secondo grado a 4 anni e 8 mesi), colpita da un’interdittiva antimafia in seguito alle indagini condotte dalla DDA di Bologna.

“Proprio per il tramite di questa fittizia intestazione- scrivono gli inquirenti- Clarà aveva consentito a Colacino di continuare a svolgere un appalto dalle parti di Rimini”.

Clarà è inoltre amministratore unico della “CLARA’ COSTRUZIONI S.R.L.” che ha, tra le società partecipate, il Consorzio per la Ricostruzione, con sede a Modena, impegnato nei lavori di costruzione e ricostruzione degli immobili danneggiati dal terremoto avvenuto nel 2012 in Emilia Romagna. Il nome di Clarà compare anche in un’altra vicenda importante ricostruita dalle intercettazioni: Francesco Tallarico ha infatti svelato a Giovanni Trapasso che, attraverso una delle imprese di Clarà, si era accaparrato alcuni lavori di smaltimento di scarti industriali e rifiuti tossici provenienti dall’Ilva di Taranto, avendo la possibilità di effettuare circa dieci o dodici viaggi giornalieri, con il materiale che sarebbe stato poi scaricato in territorio calabrese.

Giuseppe Liperioti
Inizia a collaborare con la giustizia il 4 maggio 2017. Liperioti è il genero di Antonio Grande Aracri, fratello del boss Nicolino. Anche le sue dichiarazioni sono state utili agli inquirenti per l’operazione Stige.