di Arcangelo Badolati. Pubblicato su La Gazzetta del Sud il 22 aprile 2017.
Il boss è solo. Ha scelto di lasciare i “compari” di affari e di ’ndrangheta e di lanciarsi tra le braccia dello Stato. Niente più “santini” da bruciare e picciotti da “battezzare”; niente più partite di coca da distribuire in giro per l’Italia, nè giornalisti da “maledire”; niente più affari con le scommesse e le “macchinette” elettroniche. Niente di niente. Basta con il carcere duro e con la prospettiva di rimanere dietro le sbarre per il prossimo mezzo secolo. Nicola Femia, 56 anni, “stella” di prima grandezza del firmamento mafioso calabrese, con interessi sia nella terra d’origine che in Emilia Romagna, ha deciso di collaborare con la giustizia. Ha deciso di “arrendersi” al procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri e all’aggiunto Vincenzo Luberto. S’è “consegnato”, in gran segretezza, ai magistrati inquirenti il 16 febbraio scorso. L’ha fatto dopo essersi ritrovato sul groppone una condanna definitiva a 23 anni di reclusione per narcotraffico inflittagli dal Tribunale di Paola. Mentre stava già riempiendo decine di pagine di verbali con le sue confessioni, il Tribunale di Bologna gli ha poi inflitto 26 anni e 10 mesi di carcere nell’ambito del maxiprocesso “Black Monkey”. Tra le carte di quel dibattimento c’è la misura della pericolosità di Femia. Il padrino, durante le indagini, viene infatti intercettato mentre sembra pronto a decretare la morte di un valoroso giornalista calabrese, Giovanni Tizian (ora all’Espresso, nel team guidato da Lirio Abbate) che nella troppo distratta Emilia denunciava le infiltrazioni delle cosche
nostrane in vari segmenti dell’economia e nel gioco d’azzardo.
“Don Nicola” finisce in manette nel 2013 insieme con altre 29 persone, tra cui il figlio, Nicola Rocco, grazie alle investigazioni condotte dalla Guardia di Finanza. Durante il blitz, scattato per ordine della Dda di Bologna, vengono sequestrate 1500 slot machine truccate riconducibili ad una società gestita dal “mammasantissima”. A Reggio, Catanzaro, Cosenza e Paola tutti, però, già conoscono il “padrone” della patria delle piadine e della mazurka. Femia è incappato in varie inchieste delle Dda calabresi. Una di queste si chiama “Anije” e ricostruisce un traffico di sostanze stupefacenti che coinvolge sia “mamma ’ndrangheta” che i clan criminali albanesi che agiscono tra la Puglia meridionale e l’area ionica settentrionale della Calabria (la Piana di Sibari). Il boss che risulta residente a Santa Maria del Cedro rifornisce di “roba” sia la zona di Scalea che di Cetraro. Ed è nel contesto del processo scaturito da quest’ultima inchiesta che il pm antimafia Saverio Vertuccio ha depositato i verbali con le prime dichiarazioni (ampiamente omissate) rilasciate da “don Nicola” a febbraio. L’uomo parla degli “amici” della Locride e dei rapporti avuti con Franco e Luigi Muto a Cetraro, con Franco Valente a Scalea. Vuota il sacco e ammette le proprie responsabilità. Ma è solo l’inizio…
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Da Santa Maria del Cedro alla conquista del Nord
di Rocco Muscari. Pubblicato su La Gazzetta del Sud il 22 aprile 2017.
Da Marina di Gioiosa Jonica fino al ravennate e poi la scelta collaborativa. E’ questo il percorso di Nicola “Rocco” Femia nato nella cittadina della Locride dove, per come ha raccontato, in sintesi, ai magistrati della Procura Distrettuale Antimafia di Catanzaro: «Mi sono trasferito da Gioiosa Jonica a Santa Maria del Cedro agli inizio dell’anno 1983» dove : «ho iniziato a trattare stupefacente che mi vendeva Mazzaferro il quale aveva facoltosi canali di approvvigionamento direttamente dal Sudamerica. Ho subito un primo arresto nel 1984, sono stato assolto, comunque si era sparsa la voce della mia attività di narcotrafficante».
Il 56enne Femia ha ripercorso altri rapporti con soggetti di Gioiosa Jonica, in particolare, con due Jerinò, ai quali: «ho ceduto stupefacente … quale contropartita di un sequestro di cocaina».
Il Femia parla di numerosi soggetti con i quali negli anni Novanta avrebbe intrattenuti rapporti di “affari”, alcuni sono riferibili ad un processo per droga in atto a Catanzaro, nato dall’operazione “Anje 2”, eseguita dagli agenti del Goa della Guardia di finanza di Catanzaro, suddivisa in più tronconi dei quali uno è in corso di celebrazione al tribunale di Locri nei confronti di sei imputati alcuni dei quali ritenuti appartenenti alle famiglie di San Luca “Pizzata” e “Strangio”.
Facendo un passo indietro negli anni il 56enne ha dichiarato: «Ho intrapreso l’attività legata al traffico di cocaina quando sono uscito dal carcere nel 1998. In quel periodo conoscevo Antonio Cataldo, già a me noto dal 1993/1994 epoca in cui ero ristretto nel carcere di Catanzaro». Ancora oltre : «Grazie al fratello di Antonio Cataldo, Pasquale, verosimilmente un fratellastro in quanto riportava un altro cognome, riuscivo a rifornirmi di alcuni chilogrammi di cocaina che pagavo quando avevo la possibilità, anche dopo lo smercio». «Il rapporto con Cataldo ha avuto termine al momento del sequestro della cocaina eseguito a novembre del 1998» a tale Ursino. Nel 2002 da Santa Maria del Cedro Nicola “Rocco” Femia si trasferisce in un comune nella provincia di Ravenna, quando viene ammesso a scontare la misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Nel frattempo Femia subisce una condanna per reati in materia di sostanze stupefacenti in Calabria. È del 22 febbraio scorso la condanna, per altri reati, a 26 anni di reclusione disposta, in primo grado, dal Tribunale di Bologna.