di Enrico Lorenzo Tidona. Pubblicato il 5 luglio 2017.
Grande Aracri in video collegamento parla come teste: «Sono un allevatore e sono innocente». Poi spiega le regole del clan.
REGGIO EMILIA. Con il sorriso sulle labbra dichiara di essere un semplice contadino, «assolutamente estraneo e innocente» nonostante lo abbiano inquadrato come il boss di una cosca e condannato per associazione mafiosa. Poi, però, spiega alla corte del processo Aemilia le regole del pericoloso gioco della ’ndrangheta. Una volta che hai scelto una cosca, come quella che porta il suo nome, non puoi più fare marcia indietro. Così, in video collegamento dal carcere di Opera – invecchiato rispetto alle foto degli ultimi arresti – è apparso al processo Aemilia il boss Nicolino Grande Aracri. Un momento atteso da lungo tempo dopo che il suo nome aleggiava da anni sulla città di Reggio Emilia. Lo ha fatto in qualità di teste, chiamato alla sbarra da diversi imputati che, poi, hanno rinunciato alle sue parole in loro difesa. Tutti tranne Michele Bolognino, difeso dall’avvocato Carmen Pisanello, la quale ha cercato di slegare la figura del suo assistito da quella di Grande Aracri, considerato il vertice della cosca cutrese alla quale fa riferimento anche la locale emiliana che si è formata negli anni: un ramo indipendente ma sul quale l’ultima parola era sempre affidata al capoclan in Calabria.
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