di Roberto Galullo. Pubblicato su Il Sole 24 Ore il 25 gennaio 2018.
Il salto di qualità c’è e si vede. Da anni. Solo che l’orologio di Stato ha tempi e fusi orari talvolta incompatibili con le lancette della società e dell’economia e da poco comincia ad allinearsi a quelli della mafia cinese, sempre più forte nel riciclaggio in attività apparentemente lecite. Sia in Italia che all’estero. Non sono le triadi dei film di azione. Quella è finzione cinematografica. Questa è realtà. Le associazioni criminali cinesi in Italia replicano il modello primitivo della ’ndrangheta: si costituiscono su base familiare o plurifamiliare, fondandosi sul concetto di guanxi, cioè sul senso di appartenenza a un gruppo che, oltre e indipendentemente dai legami di sangue, esprime l’idea della famiglia economica allargata che ruota intorno a interessi comuni: la gestione di un ristorante, di un magazzino di stoccaggio, di una sala giochi legale o clandestina, di una società di trasporti o di qualsiasi altra attività che crei profitti, leciti o illeciti.
Da Prato con furore
L’operazione della Squadra mobile della Polizia di Prato, agli ordini di Francesco Nannucci, la scorsa settimana ha testimoniato plasticamente il salto di qualità. L’accusa per l’associazione guidata da Zhang Naizhong – con un azzardo definito il “capo dei capi” ma che da una belva come Totò Riina, se reggerà l’accusa in Tribunale, non avrà più nulla da imparare – è di essere una realtà mafiosa. Né più né meno. Per attuare il proprio progetto criminale si avvaleva della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e omertà nella comunità cinese.
Prato era il punto di partenza e ritorno ma la prateria nella quale effettuare estorsioni, usura, abusivo esercizio del credito, gioco d’azzardo, traffico di droga, trasporti, logistica non aveva confini. Le radici arrivavano a Roma, Padova e Catania ma anche in Campania e Lombardia.
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