Ed ecco la seconda puntata di #microfonoinmano, la nuova rubrica di Mafie sotto casa: l’intervista a Petra Reski, giornalista tedesca che ha scelto l’impegno di denuncia della criminalità organizzata.
Secondo alcune inchieste giornalistiche e giudiziarie la mafia imprenditrice, che si cela nell’economia legale, per superare la crisi si è internazionalizzata, investendo capitali in Germania ed in altri paesi europei? Cosa ne pensa?
È un dato di fatto che la mafia sta investendo capitali in Germania, e non da ieri l’altro, ma da più di 40 anni. La ‘ndrangheta ha investito i soldi ricavati con le rapine in Germania, comprando immobili e ristoranti. E adesso approfittano ovviamente dalle norme antimafia meno rigorose in Germania e dal fatto che riciclare è molto più facile in Germania che in Italia.
Mentre la mafia è stata in grado di instaurare network di potere e relazioni nel mondo, seguendo il processo di globalizzazione, lo stesso non si può dire per l’antimafia. Per quale motivo secondo lei i paesi europei non introducono nel loro ordinamento il reato di associazione mafiosa? Sottovalutazione del fenomeno o complicità?
Quando parlo in Germania delle lacune legislative, percepisco lo stupore dei tedeschi. Hanno sempre considerato la mafia un problema italiano. Sono sempre stati rassicurati sul fatto che la Germania fosse al massimo un rifugio per la mafia, come se al massimo i mafiosi trascorressero le vacanze estive in Germania. E visto che i tedeschi non dispongono delle informazioni necessarie per farsi un’idea sulla presenza della mafia in Germania, non possono neanche fare pressione sulla politica. È facile dimenticare la mafia, quando non ci sono i morti.
E alla sottovalutazione generale della mafia in Germania si aggiunge oggi più che mai il problema del rischio del terrorismo islamico, che ha sottratto dal 2001 tutte le forze investigative che si occupavano di mafia. Ormai la mafia è un tema fuori moda.
Non pensa che in questa fase di crisi economica, i paesi europei non abbiano voglia di fare indagini approfondite sula provenienza dei capitali che vengono dall’estero?
Cito quello che ha detto Roberto Scarpinato: “Oggi la legalità non è più un termine che implica etica e morale, ma un termine puramente subordinato al mercato”. Dal 2014 l’Unione Europea ha stabilito che, per calcolare il Pil, il prodotto interno lordo degli Stati dell’Europa, bisogna inserire anche i fatturati degli stupefacenti, della prostituzione e del contrabbando. Quando calcoliamo il Pil nazionale, da due anni inseriamo per l’Italia anche i 12 miliardi di euro di proventi della droga e i tre della prostituzione. Oggi il mondo legale e il mondo illegale si avvicinano sempre di più, confondendosi.
L’ordinamento giuridico italiano prevede il reato di associazione mafiosa, la confisca dei beni per i mafiosi ed il carcere duro. Qual è la situazione normativa in Germania?
L’associazione mafiosa in Germania non è un reato, c’è solo il paragrafo “associazione criminale di tipo mafioso”, che prevede una pena massima di cinque anni, quasi mai applicato; non corrisponde in niente al 416 bis del codice italiano, non riguarda appalti o servizi pubblici, omertà, confisca dei beni.
La confisca di beni mafiosi in Germania è possibile soltanto se la condanna è passata in giudicato. Ora, spesso i mafiosi vivono da decenni del tutto indisturbati in Germania, dove l’associazione mafiosa non è reato. Non ci sono condanne italiane contro di loro, e se ci sono non per associazione mafiosa. In Germania i mafiosi sono considerati imprenditori di successo, che forse si sono resi colpevoli al massimo di reati come possesso di droghe, evasione fiscale o eccesso di velocità.
Il riciclaggio è un gioco da bambini in Germania: mentre in Italia chi investe deve – almeno in teoria – dimostrare che i soldi investiti provengono da fonti pulite, in Germania l’onere della prova spetta all’inquirente che deve dimostrare che i soldi sono di provenienza mafiosa. Se il sospettato non può dimostrare la provenienza lecita del suo patrimonio, questo gli viene sequestrato.
Intercettare mafiosi è praticamente impossibile, perché qui è vietato mettere i dispositivi in appartamenti privati e in locali pubblici. Se un magistrato è deciso a mettere sotto controllo il telefono di un presunto mafioso, si mette in moto un procedimento kafkiano. In Baviera ad esempio, decide la Staatsschutzkammer, una camera consultiva composta da tre giudici. Ormai nessun magistrato tedesco compie più il tentativo di chiedere un’autorizzazione in tal senso.
Considerato il processo di mutamento della mafia, sempre più vicina al mondo dei colletti bianchi e dell’alta finanza, in Germania siete preparati a riconoscerla sotto questa nuova veste? Quali sono gli indici di mafiosità che avete individuato, quali i campanelli di allarme?
Quando ci sono stati arresti di mafiosi in Germania, sono stati sempre ed unicamente grazie alla Polizia italiana e a indagini italiane. Questo non significa che la Polizia tedesca non si occupa di mafia o lavora male, ma vive la frustrazione di non vedere mai emesso un mandato d’arresto, perché le leggi tedesche non lo permettono.
C’è stato il caso curioso di uno ‘ndranghetista arrestato in Germania e rilasciato appena cinque mesi dopo, su ordine della corte d’appello di Karlsruhe, perché il reato di associazione mafiosa era prescritto: per questo reato la prescrizione interviene dopo 5 anni. Questo si fonda sulla convinzione che si può aderire alla mafia e uscire dalla mafia come da un club da golf. Ovviamente lo ‘ndranghetista è sparito subito.
Nello scorso dicembre alcuni giovani italiani di Libera hanno incontrato i loro omologhi di Bruxelles: hanno raccontato che a loro mancano proprio le fonti di informazione sul fenomeno mafioso, le sole notizie sono quelle che arrivano dall’Italia. Dove bisogna guardare per capire cosa sta succedendo? Ci sono giornalisti che stanno facendo inchieste? progetti di informazione? siti istituzionali?
Ci sono un po’ di giornalisti. Ma veramente pochi, visto che vengono puntualmente querelati com’è successo alla televisione di Erfurt, MDR, che hanno fatto un film sulla mafia del territorio. La differenza tra le querele in Germania e in Italia consiste nel fatto che in Italia i giornalisti vincono le cause quando possono dimostrare che i loro articoli sono basati su fatti documentati da fonti ritenute “privilegiate”, come atti giudiziari, indagini. In Germania invece perdono sempre – anche se presentano più documenti che quelli in possesso degli inquirenti stessi. Ovviamente questo non stimola realizzare inchieste.
Ci sono alcuni circoli italiani, come Libera a Colonia, che si impegnano nell’informazione dei tedeschi (http://www.rfz-rheinland.de/index.php/libera-terra) oppure “Mafia Nein Danke” [che vede tra i fondatori la modenese Laura Garavini ndr] (http://www.rfz-rheinland.de/index.php/libera-terra).
È diverso il modo in cui ogni aggregazione mafiosa agisce fuori e dentro l’Italia? È più facile per loro agire fuori dal contesto italiano? Se sì, perché?
Ovviamente i mafiosi non si comportano a Stoccarda o Hannover come farebbero a Platì o a San Luca. Non usano la violenza, sono molto abili ad adeguarsi all’ambiente in cui vivono. Anzi, cercano di non dare nell’occhio, rispettano le regole, non passano neanche col rosso. E confermano i tedeschi nella loro convinzione che la mafia in Germania non esiste, essendo uno stato di diritto, resiste solo in alcuni paesi arretrati nel sud dell’Italia.
Da quanti anni si occupa di mafia e perché questa scelta?
Mi occupo di mafia da quando sono stata mandata, nel 1989, come inviata in Sicilia per fare un reportage sulla cosiddetta “Primavera di Palermo”. La città in quel momento era famosa in tutto il mondo per il vento nuovo che soffiava. Per il cambiamento dovuta al lavoro di Falcone e Borsellino. Da quella volta non ho più smesso.
Che difficoltà sta incontrando lei a scrivere di mafie in Europa? Chi è più sordo, chi più reattivo? Ci sono temi di cui è più difficile parlare? Se sì, perché?
Informare sulla mafia in Germania è quasi impossibile, vista la facilità con cui si può querelare un giornalista. Il mio libro “Santa Mafia” ancora oggi si vende solo con le pagine censurate. Hanno ravvisato una violazione del “diritto della personalità”, un reato analogo all’italiana diffamazione
Dopo l’uscita del libro, ho avuto tre anni di processi. Tutti i miei querelanti hanno vinto. Il libro è rimasto censurato. E uno dei querelanti ha ricevuto anche un risarcimento di 10 mila Euro.
In seguito, la mia casa editrice si è rivolta alla Suprema Corte europea. Nel processo dell’editore contro la Repubblica Federale tedesca questo era in discussione: la giustizia tedesca con le sue sentenze ha violato in questa faccenda il diritto alla libertà d’espressione?
Sei dei sette giudici hanno detto di no. Come fonti di cronaca anche i giudici di Strasburgo hanno accettato – come precedentemente i loro colleghi tedeschi – solo dichiarazioni di una procura inquirente accessibili al pubblico o sentenze passate in giudicato. Ciò significa che i rapporti della polizia criminale tedesca BKA e altri documenti interni non sono pertanto sufficienti per poter scrivere articoli sul sospetto di intrighi mafiosi, facendo menzione di nomi veri.
Una giudice della Corte di Giustizia europea, comunque, non ha voluto appoggiare questo primato assoluto della tutela dell’integrità, davanti al diritto alla libertà di opinione. Forse perché viene dalla Georgia, dove può aver fatto esperienza con le strutture mafiose. Nel suo voto divergente dal giudizio dei suoi colleghi, considera i rapporti interni fonti del tutto ufficiali e deplora profondamente «questa inquietante distanza dalla comune interpretazione della giustizia».
Due anni fa ho scritto un articolo per il piccolo giornale, il “Freitag”, su un processo che un uomo d’affari italiano di Erfurt aveva intentato con successo contro la rete televisiva MDR, per un documentario sulla mafia, nel quale egli si riteneva rappresentato come presunto affiliato alla mafia. Nel mio articolo ho fatto il nome del ristoratore, basandomi sulla sentenza pubblica e per questo convinta che si trattasse di lecita cronaca giudiziaria. Egli mi ha tuttavia querelato personalmente per violazione dei suoi diritti, mediante diffamazione, e successivamente ha querelato anche il “Freitag”, che in seguito a ciò ha tolto l’articolo dalla sua pagina web e – contrariamente alla consuetudine del mondo dei media – l’editore e caporedattore del “Freitag”, Jakob Augstein, nientemeno che l’erede del fondatore dello Spiegel, mi ha rifiutato la difesa legale. E, come se non bastasse, ha messo in dubbio la serietà del mio lavoro. Una cosa del genere ovviamente è molto grave: quale giornalista oserà adesso scrivere un articolo sul tema mafia, se perfino noti editori temono il rischio inevitabilmente collegato a questo e alla minima contrarietà prendono le distanze dai loro autori? Intanto ho fatto con successo un crowdfunding, per poter pagare le mie spese legali.
Ho tratto una conclusione liberatoria di queste esperienze: col mio lavoro sono emigrata nel regno della finzione. Scrivo sulla mafia in forma di romanzo. Intanto sono usciti tre romanzi sulla procuratrice siciliana Serena Vitale che indaga sulla mafia in Germania. Lì ci sono più fatti veri sulla mafia di quanti ne potrebbero mai essere scritti in un giornale. Contro questi libri non ha sporto querela ancora nessuno.
Il primo volume esce adesso in ottobre in Italia: “Palermo Connection”, per Fazi editori e ne sono molto felice.
Nel 2013 Jörg Ziercke, presidente della Bka, la Polizia federale tedesca, ha dichiarato: “La metà dei gruppi criminali identificati in Germania appartengono alla ‘ndrangheta.” Quali altri gruppi criminali ci sono?
Oltre la camorra, Cosa Nostra ovviamente, e la Sacra Corona Unita, c’è la mafia russa, quella cinese, vietnamita, turca, polacca, libanese – una vasta scelta.
Ci sono sentenze italiane che riconoscono la presenza di mafie straniere in Italia (albanese, nigeriana, cinese, russa..). lei sa qualcosa su come le mafie italiane eventualmente interagiscono all’estero con queste mafie?
Interagiscono in perfetta armonia.
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E non perderti l’appuntamento del prossimo mese con #microfonoinmano, le interviste di Mafie sotto casa 🙂