Pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” il 27/11/2020
Trentasei miliardi cash, cinquecento in totale. No, non sono i soldi del Recovery fund. Volendo giocare con le parole si potrebbe parlare di un Recovery clan. Sono cifre a nove zeri quelli che secondo la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria riusciva a spostare Roberto Recordare, un imprenditore di Palmi che per gli inquirenti era la mente economica-finanziaria di ‘ndrangheta, camorra e mafia. Considerato un colletto bianco al servizio del clan, un “soggetto riservato della ‘ndrangheta“, l’imprenditore è indagato per il riciclaggio di 36 miliardi di euro. Di lui si parla in un’informativa della Squadra mobile calabrese, depositata agli atti del processo “Eyphemos” contro le cosche di Sant’Eufemia d’Aspromonte. A riportare il contenuto dell’informativa è il quotidiano Domani e il Corriere della Calabria.
Secondo gli inquirenti Recordare gestiva un fondo da 500 miliardi di euro: praticamente dieci leggi di bilancio. Di questi “36 miliardi che erano già pronti, cash“, come è riportato in una delle intercettazioni agli atti dell’inchiesta. Non è l’unico dialogo inquietante carpito all’imprenditore. “Questi non si spaventano di niente se ogni tanto ne vede saltare qualcuno in aria, questa non faceva niente“, dice a un certo punto intercettato. E quando dice “questa” si riferisce al sostituto procuratore della Dda reggina Giulia Pantano, titolare dell’inchiesta Alchemia, di cui Recordare stava parlando con un suo sodale. Che gli risponde: “Come facevano in Sicilia“. Recordare commenta anche l’omicidio di Daphne Caruana Galizia, assassinata pochi giorni prima: “Stavano ancora raccogliendo i cocci di quella a Malta“. Sull’isola al centro del Mediterraneo il riciclatore della ‘ndrangheta spiega di avere molti interessi: una presenza documentata dai Paradise papers, la più grossa fuga di notizie sui miliardi off shore dai tempi dei Panama papers.
Recordare racconta anche di una perquisizione cui è stato sottoposto dalla Guardia di finanza all’aeroporto di Fiumicino. “Erano più meno erano cento miliardi, qualcosa del genere. Ho preso quella busta e l’ho buttata nella spazzatura. Avevo il bond da 36 miliardi“. Prima di essere sottoposto a controllo, l’imprenditore sostiene di essere riuscito a buttare un “bustone di bond e procure“. Scrive la Squadra mobile reggina nell’informativa: “Si ritiene che si trattasse, in qualche modo, di capitali riciclati nel tempo, presumibilmente provento di traffici illeciti quali il traffico di armi e stupefacenti, senza escludere i proventi di estorsioni, usura e altre condotte delittuose” da far circolare “senza che transitassero in Europa e, soprattutto, in Italia”. L’uomo, in pratica, “stava cercando di spostare in paesi extraeuropei e che non subissero l’influenza degli americani, un’ingentissima somma di denaro che era depositata in diversi istituti bancari di vari paesi, anche europei, ma soprattutto in paesi da black list che, comunque, non potevano risultare, ad eventuali controlli, giacché nascosti su conti speciali. Per quanto emerso in numerose conversazioni intercettate gli indagati hanno parlato di una somma che superava i 136 miliardi di euro“. Soldi che ‘ndrangheta, Cosa nostra e camorra avevano accumulato dagli anni ottanta. E ancora, secondo gli investigatori, l’imprenditore “aveva la necessità di renderli disponibili ai suoi sodali con operazioni bancarie che dovevano sparire una volta effettuato il trasferimento del denaro”. I soldi sarebbero finiti in carte di credito e di debito, intestate a soggetti arabi o dell’Est Europa ma in mano a Recordare e ai suoi sodali. Il denaro veniva scaricato con la procedura “off line“. Sul computer dell’imprenditore, la squadra mobile è riuscita a trovare gli estremi e la foto di una carta di credito, intestata a un lituano, con un saldo di 2 miliardi di euro.
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