di Elena Ciccarello e Andrea Gianbartolomei. Pubblicato su La Via Libera il 2 maggio 2020.
Il “Cura Italia” non dava chance ai detenuti al 41bis. Alcuni sono usciti per le gravi condizioni di salute, un caso per le mancanze dell’Amministrazione penitenziaria. La confusione sulla situazione delle carceri, le dimissioni del responsabile Dap Basentini e il pieno di nomine antimafia, Petralia e Tartaglia.
Nessun boss detenuto al carcere duro, il regime speciale previsto dall’articolo 41bis dell’ordinamento penitenziario, è stato scarcerato in base alle norme del governo sull’emergenza coronavirus. Chi ha potuto farlo, lo ha fatto grazie alla decisione, caso per caso, di un giudice di sorveglianza e a leggi ordinarie, che tutelano il diritto alla salute di tutti i cittadini, compresi i detenuti. Eppure la questione di un’improbabile scarcerazione di massa dei boss mafiosi ha tenuto banco per giorni, alimentata da qualche caso controverso, come quello relativo alla scarcerazione di Pasquale Zagaria e alle reali difficoltà di gestione dell’emergenza sanitaria in un ambiente carcerario storicamente sovraffollato.
Il risultato di questa situazione caotica, sulla quale non si hanno dati certi, sono state le dimissioni del responsabile del Dipartimento di amministrazione penitenziaria Francesco Basentini e la nomina al vertice della struttura di due magistrati antimafia: Dino Petralia, che ne diviene il nuovo direttore, e Roberto Tartaglia nominato vice direttore nei giorni scorsi. Una decisione muscolare, del ministro della giustizia Alfonso Bonafede, che si è appellato all’antimafia per tentare di cancellare anche simbolicamente le polemiche degli ultimi giorni. Ma cosa è accaduto veramente?
Ad oggi, i casi di scarcerazione per detenuti al 41bis sono pochissimi, a fronte dei più di 700 reclusi al carcere duro, e tutti legati a malattie gravi. Viceversa, in alcuni contesti desta preoccupazione la scarcerazione dei ranghi inferiori: “Anche se scarceri un boss di 80 anni quello esce con il pannolone, e fuori trova chi dirige il territorio da anni, mica aspettano lui – spiega a lavialibera una fonte campana, che in passato ha collaborato con la giustizia – un problema potrebbero essere invece quelli che dovevano scontare gli ultimi 18 mesi di carcere e ora sono ai domiciliari, carichi di notizie e direttive su come comportarsi durante questa fase”. Sullo sfondo, lo stato di salute complessivo del nostro universo carcerario e i dati in aumento di agenti e detenuti che risultano positivi al Covid. Riavvolgiamo il nastro e partiamo da alcuni punti fermi.
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