di Cecilia Anesi, Lorenzo Bagnoli, Luca Rinaldi e Giulio Rubino. Pubblicato su irpi.ue il 24 febbraio 2019.
Jan Kuciak, giornalista slovacco ucciso a sangue freddo un anno fa nella sua casa a Velka Maca, stava lavorando a un’inchiesta sulle connessioni tra Antonino Vadalà – allevatore di bovini emigrato in Slovacchia – e il primo ministro del Paese, Robert Fico. Vadalà è uno dei tanti che, negli anni ’90’, sono emigrati dalla Calabria a cercare fortuna nel nuovo mercato dei Paesi post-comunisti. In 18 anni però è diventato un uomo importante: auto di lusso, vestiti alla moda, una fitta rete di relazioni tanto con politici dello Smer – il partito al governo – quanto con i servizi segreti. Non certo un allevatore qualunque. A un anno di distanza, i giornalisti della rete Organized Crime and Corruption Project (OCCRP) e dei centri partner IRPI e Investigace.cz che lavoravano con Kuciak rivelano come Vadalà fosse inserito in una rete di narcotraffico legata alla cosca Morabito di Africo.
Venezia caput mundi
“Carichiamo banane, cereali, arachidi, qualche cazzata la carichiamo, spediamo alla ditta tua qua, paghiamo la dogana, sdoganiamo quando arriva”. Occhi verdi, capelli rasati, vestito bene: Antonino Vadalà, espatriato in Slovacchia, cerca di apparire sicuro di sé. Nel Paese est europeo alleva vitelli e commercia in carne, ma questa volta non parla di bistecche. Parla di carichi di cocaina da organizzare per la ‘ndrangheta. È il 17 settembre 2014 e Vadalà ha raggiunto un centro commerciale alle porte di Venezia. L’incontro è dei più importanti, organizzato nei minimi dettagli e protetto da uomini a fare da palo. Si tratta di aprire un nuovo canale di importazione della droga direttamente dal Sudamerica al porto della laguna. Il suo interlocutore, un imprenditore locale, è la chiave di volta del piano. “Voglio fare due-trecento, capisci almeno due-trecento”, dice Vadalà a Francesco Giraldi. Il calabrese cerca di testare l’affidabilità dell’imprenditore veneto, glielo hanno presentato come uno esperto.
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