di Enrico L. Tidona. Pubblicato su La Gazzetta di Reggio il 9 febbraio 2019.
Svolta nelle indagini sugli spari e le estorsioni a Reggio Emilia. A nove giorni dalla prima richiesta di pizzo con tanto di sparatoria contro le pizzerie reggiane, le forze dell’ordine hanno stretto il cerchio attorno ai presunti autori. Si tratta di tre giovani con meno di trent’anni, tutti figli di Francesco Amato, condannato a 19 anni di carcere nel processo contro la ’ndrangheta Aemilia, giunto alla ribalta nazionale per aver sequestrato gli impiegati delle poste di Pieve avvenuto a novembre.
Amato è il capostipite dell’omonimo clan sinti originario di Rosarno ma da anni residente a Reggio, principalmente in via Rinaldi. Una famiglia i cui vertici sono considerati il braccio operativo della ’ndrangheta cutrese.
I figli di Amato sono stati raggiunti delle forze dell’ordine ieri mattina, verso le 9.30, quando è stato formalizzato loro il fermo, con l’accusa di estorsione. A disporlo è stato il sostituto procuratore Isabella Chiesi, che sta coordinando le indagini congiunte di polizia e carabinieri. Sono quattro infatti gli episodi estorsivi sotto indagine: gli spari e il ritrovamento del primo bigliettino con una richiesta di mille euro alla pizzeria La Perla di Cadelbosco (di competenza dei carabinieri), gli spari e il bigliettino trovati al Piedigrotta 3 di via Emilia Ospizio a Reggio, e i biglietti trovati al Piedigrotta 2 (poco distante dal 3) e al Paprika di San Maurizio. Oltre al fermo è stata effettuata la perquisizione della casa di via Rinaldi. Gli inquirenti sono infatti alla ricerca di indizi consistenti, soprattutto per quanto concerne gli spari. A collegare i primi due episodi sono infatti le ogive ritrovate, che apparterrebbero a un revolver. Le analisi dei bossoli sequestrati da polizia e carabinieri nelle due pizzerie sono state affidate al Ris di Parma.
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