La Commissione parlamentare antimafia ha dedicato un intero paragrafo della relazione conclusiva (pubblicata a febbraio di quest’anno) ai rapporti tra mafie e calcio, continuando a tessere il quadro già iniziato nella relazione dedicata allo stesso tema e pubblicata già nel dicembre 2017.
Nel mirino della Commissione sono finiti i rapporti tra ultras e mafia, il riciclaggio nel mondo del calcio e il fenomeno delle calcio-scommesse.
[1] Cori da stadio: le mafie e gli ultras
Tra la criminalità organizzata, la criminalità comune e le frange violente del tifo organizzato c’è una vera e propria osmosi.
“Nelle curve le norme perdono spesso il carattere di effettività e il diritto cede alla forza degli ultras. Una volta entrati, questi si aggregano in masse indistinte, di fatto dei piccoli “eserciti”, con dei capi riconosciuti, i quali dettano le regole, attraverso lo strumento dell’intimidazione, all’interno del proprio “territorio” contrassegnato da segni e simboli ben visibili.
La forza di intimidazione delle tifoserie ultras all’interno del “territorio-stadio” è spesso esercitata con modalità che riproducono il metodo mafioso; unitamente a ciò, la condizione di apparente extra-territorialità delle curve rispetto all’autorità ha consentito ai gruppi di acquisire e rafforzare il proprio potere nei confronti delle società sportive e dei loro dipendenti o tesserati.”
Un dato particolarmente inquientante è il tasso di pregiudicati che compongono la base sociale delle tifoserie: secondo le stime delle forze di polizia, in alcuni casi arrivano quasi al 30% del totale. Inutile aggiungere che l’estrazione in buona parte criminale dei rappresentanti dei gruppi organizzati è l’humus ideale per consentire l’infiltrazione della criminalità organizzata di tipo mafioso”.
Tra l’altro, le regole della giustizia sportiva, che prevedono una responsabilità oggettiva delle società per i comportamenti violenti o discriminatori dei propri sostenitori, producono un effetto paradosso. Proprio “i comportamenti violenti e antisportivi vengono utilizzati come armi di pressione e di ricatto al fine di barattare il tranquillo svolgersi delle competizioni sportive con vantaggi economici pretesi dalle società come biglietti omaggio, merchandising, contributi per le trasferte eccetera”.
Ma c’è di peggio. Le indagini rilevano che a Torino “la ‘ndrangheta si è inserita come intermediaria e garante nell’ambito del fenomeno del bagarinaggio gestito dagli ultras della Juventus, arrivando a controllare i gruppi ultras che avevano come riferimento diretto diverse locali di ‘ndrangheta; in alcuni casi i capi ultras sono persone organicamente appartenenti ad associazioni mafiose o a esse collegate, come per esempio a Catania o a Napoli; in altri casi ancora, come quello del Genoa o della Lazio, sebbene non appaia ancora saldata la componente criminalità organizzata con quella della criminalità comune, le modalità organizzative e operative degli ultras vengono spesso mutuate da quelle delle associazioni di tipo mafioso.”
Purtroppo l’attività illegale dei gruppi ultras viene spesso ignorata sia dal sistema mediatico che da quello giudiziario. Laddove ci sono state indagini, però, “queste si sono rivelate assai preziose e hanno consentito di disvelare il progressivo rafforzamento delle componenti criminali all’interno dei gruppi organizzati attraverso la formazione di associazioni per delinquere dedite ad attività criminali quali, per esempio, lo spaccio di sostanze stupefacenti e, in alcuni casi, l’ulteriore salto di qualità operato con la saldatura di tali associazioni per delinquere con gruppi criminali di caratura superiore di carattere mafioso.”
Tra i casi affrontati dalla commissione quello che ha goduto di maggiore visibilità mediatica è sicuramente quello della Juventus FC, di cui ci occuperemo prossimamente.
[2] L’inchiesta Alto Piemonte
“Nell’ambito del procedimento Alto Piemonte”, scrive la commissione “su proposta della procura distrettuale di Torino, in data 11 maggio 2016, è stata emessa dal Gip del tribunale di Torino, un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di esponenti di locali di ‘ndrangheta insediati in Piemonte, collegati ad alcune fra le più pericolose cosche della ‘ndrangheta calabrese”.
L’ordinanza di custodia cautelare, avente che oggetto una serie di reati quali associazione di tipo mafioso ed estorsione, detenzione illegale di armi, danneggiamento seguito da incendio, sequestro di persona, spaccio di droga, tentato omicidio, tutti reati aggravati dal metodo mafioso, vedeva tra i destinatari Saverio Dominello, già in passato condannato per il reato di associazione di tipo mafioso (come ricorda la commissione), e due dei tre figli di Saverio, Michele e Rocco, all’epoca dei fatti in questione rispettivamente l’uno detenuto e l’altro (ancora) incensurato.
“Con sentenza emessa con rito abbreviato il 30 giugno 2017” prosegue la commissione, “il Gup del tribunale di Torino ha condannato i membri della famiglia Dominello a pesanti condanne: Saverio (12 anni e 1 mese) e Rocco (7 anni e 9 mesi) per il reato di associazione mafiosa e quali mandanti di tentato omicidio, lo stesso Saverio e il figlio Michele (2 anni e due mesi), per estorsione aggravata dal metodo mafioso”.
La Corte d’Appello di Torino a luglio 2018 ha riformato in parte la sentenza di primo grado e ha condannato a 4 anni e 5 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa Fabio Germani, tifoso juventino con agganci nella curva bianconera e tra uomini e giocatori di casa Juve.
Leggendo la relazione si scopre però che i primi segnali dell’interessamento della ‘ndrangheta alle partite della Juventus risalgono agli anni 2012- 2013, “in un contesto del tutto inaspettato, nel corso di un’indagine su un’associazione di tipo mafioso di origine rumena.” Un collaboratore di giustizia, dice la commissione, “aveva dichiarato che tra gli affari del sodalizio rumeno vi era anche un’attività relativa alla cessione a terzi di abbonamenti per partecipare alle partite della Juventus e che questa attività era stata condotta previa autorizzazione di criminali di origine calabrese, con i quali il sodalizio mafioso rumeno trattava stupefacenti”.
Ma dalle intercettazioni emerge anche “il capo di questa associazione si era recato in Calabria al fine di essere autorizzato alla costituzione di un gruppo di ultras (i « templari ») che potesse avere accesso allo Juventus Stadium.”
Parallelamente a questo, la procura distrettuale di Torino era titolare di un’ulteriore indagine avente a oggetto un traffico di stupefacenti tra la Sicilia e il Piemonte e il referente di questo traffico di stupefacenti, per quantitativi molto cospicui, era Andrea Puntorno, il capo ultras del gruppo dei « bravi ragazzi » – la cui zona d’influenza all’interno dello stadio comprendeva, quale sottosezione, proprio quella dei templari.
Leggi qui la seconda puntata su mafia e calcio.