Sono state appena pubblicate le motivazioni che hanno portato la Corte d’Appello di Bologna il 29 ottobre 2019 a lasciar cadere l’accusa di associazione mafiosa nel processo ‘Black Monkey’.
Nelle motivazioni, i giudici scrivono che “i collegamenti ed i rapporti di Femia con esponenti di organizzazioni mafiose non sono determinanti per dare la medesima qualificazione al gruppo da lui costituito che, una volta sorto ed in piena operatività, deve acquisire autonoma vitalità, non mutuabile dal carisma soggettivo del capo e tanto meno dalle relazioni personali di quest’ultimo”.
Iniziamo a mettere i puntini sulle i: anche l’appello conferma quindi le amicizie e i rapporti di Femia con le mafie. Manca, si legge nel documento, “la prova di un esercizio concreto e percepito fra i cittadini, neppure nell’ambito delle categorie interessate dall’attività ‘commerciale’ dell’associazione in un determinato territorio, della forza di intimidazione che deve derivare direttamente dal sodalizio”.
Anche questo purtroppo non ci stupisce. La reazione delle grandi e piccole aziende del settore dopo l’indagine è stata nulla come praticamente nulle erano state le denunce e le segnalazioni da parte di chi viveva, negli anni precedenti, quel settore “drogato” da un’associazione semplice che agiva talvolta con metodo mafioso. Come confermano i giudici.
Dopo che l’appello ha fatto a pezzi l’impianto accusatorio e la sentenza di primo grado questo è ciò che rimane: silenzio. Il silenzio di tutti (o quasi) prima degli arresti torna ora ad essere silenzio. Silenzio sulla vicenda ma anche sul settore azzardo che (fuori ormai da ogni discussione e agenda politica) ha toccato un fatturato record di 107 miliardi nel 2018. A Roma sono passati governi di tutti i colori, non ce n’è uno che abbia invertito la rotta.
E le “associazioni non mafiose” gongolano.