Gazzetta di Modena – 29 aprile 2017 –
L’inchiesta che vede indagato il senatore Giovanardi, incentrata su rivelazione di segreti e minacce a istituzioni, potrebbe approdare anche alla Corte Costituzionale.
È l’eventualità che si è prospettata nelle parole del pm Mescolini all’udienza di mercoledì davanti al Gip di Bologna. Perché? L’articolo 68 della Costituzione richiede l’autorizzazione a procedere «per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza». Si parla dunque di “intercettazioni”.
Mentre la legge che dà attuazione a quella parte della Costituzione, la 140 del 2003, estende la necessità di chiedere l’autorizzazione a procedere anche ai «tabulati delle comunicazioni». Intercettazioni sono l’ascoltare le telefonate o le conversazioni (con microspie). I tabulati sono invece semplicemente le tracce (i numeri di telefono) delle chiamate.
Ed è proprio sui tabulati tra Giovanardi e gli altri coindagati (in particolare in Bianchini di San Felice) che si incentra buona parte della questione sostanziale, delle accuse, al vaglio del Gip.
È dunque possibile che il giudice sospenda gli atti, e trasmetta tutto alla Corte Costituzionale, per accertare se la legge rispetta la Costituzione o invece la travalica, includendo indebitamente i “tabulati”.
Ma non è questa l’unica questione “procedurale”. Secondo un’interpretazione infatti si imporrebbe di fermare subito le indagini e di trasmettere gli atti – in questo caso al Senato – in caso di intercettazioni dirette o indirette. Se le intercettazioni sono solo “casuali”, allora può essere seguita la procedura scelta dalla Dda: a fine indagini richiesta di pronuncia del giudice che, se le ritiene rilevanti, le invia al parlamento. Per i legali degli imputati, Sivelli, Giovanardi e Garuti, quelle intercettazioni però non erano causali, in quanto il senatore era indagato già dal 2014, quindi oggi sono inutilizzabili. Problemi tecnici, dai quali il senatore può comunque mettersi al riparo: basta che il Senato neghi l’autorizzazione a procedere e tutto verrà distrutto.
(ase)