di Paolo Bonacini il 12 giugno 2018.
Cinque giorni di arringhe, relative ad un terzo degli uomini alla sbarra nel rito reggiano del processo Aemilia, hanno consentito di apprezzare alcuni temi ricorrenti negli argomenti degli avvocati che li difendono. I nomi più noti tra questi cinquanta di imputati sono quelli di Antonio Valerio, uno dei tre collaboratori di giustizia che hanno scelto di parlare dopo l’inizio del processo, e di Alfonso Paolini, l’uomo introdotto in Questura e nel mondo del calcio che secondo l’accusa metteva a disposizione della consorteria le sue relazioni altolocate. Ma definire minori gli altri imputati sarebbe improprio, se non altro per le pesanti condanne, con una media di dodici anni a testa, chieste dai Pubblici Ministeri al termine della requisitoria.
Quanto siano pesanti queste richieste secondo le difese, lo dice una metafora utilizzata dall’avvocato Roberto Filocamo che tutela Giuseppe Aiello (9 anni e 4 mesi di carcere), Salvatore Lerose (6 anni e 6 mesi) e Francesco Florio (3 anni e 4 mesi): “Avete stanziato un cachet enorme per pagare alcune comparsate nel kolossal di Aemilia”.
Dove il cachet è da intendersi in “anni di galera” e le comparse sono gli imputati minori. Per alcuni dei quali, sempre secondo gli avvocati, l’accusa non si è neppure soffermata a spiegare, durante la propria requisitoria, quando, come e perché avrebbero commesso i reati dei quali il decreto di rinvio a giudizio firmato dal giudice Francesca Zavaglia il 12 dicembre del 2015 li chiama a rispondere.
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