Pubblicato il 22/03/2017

N. 03749/2017 REG.PROV.COLL.
N. 06894/2016 REG.RIC.

repubblica italiana

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6894 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati Massimo Luciani e Massimo Colarizi, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, Lungotevere Raffaello Sanzio, 9;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Interno, U.T.G. – Prefettura di Reggio Emilia, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Comune di Brescello non costituito in giudizio;

per l’annullamento

quanto al ricorso introduttivo

del D.P.R. del 20 aprile 2016, pubblicato in G.U. n. 108 del 10 maggio 2016;

di tutti gli atti presupposti, consequenziali e comunque connessi, anche allo stato non conosciuti dai ricorrenti, ivi comprese la relazione del Ministro dell’Interno dell’8 aprile 2016 e la relazione della Prefettura di Reggio Emilia del 20 gennaio 2016, prot. n. 28/OES/R, entrambe allegate al medesimo D.P.R. 20 aprile 2016;

quanto ai motivi aggiunti

ove occorrere possa, della Relazione della Commissione d’indagine prefettizia presso il Comune di Brescello in una con i suoi allegati e del Verbale della riunione del 12 gennaio 2016 del Comitato Provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica di Reggio Emilia.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’Interno e dell’U.T.G. – Prefettura di Reggio Emilia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 febbraio 2017 la dott.ssa Lucia Maria Brancatelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con il gravame in epigrafe, i ricorrenti hanno chiesto l’annullamento del D.P.R. 20 aprile 2016 con il quale era stato disposto, ai sensi dell’art. 143 del d.lgs. n. 267/2000, lo scioglimento.del Consiglio comunale di Brescello e la nomina della Commissione straordinaria per la provvisoria gestione del Comune, sulla base della proposta del Ministro dell’interno e della relativa relazione prefettizia.

2. Fanno preliminarmente presente di essere stati tutti designati amministratori del Comune all’esito delle votazioni amministrative del 25 maggio 2014, che hanno visto prevalere la “-OMISSIS-”, collegata al sindaco e odierno ricorrente -OMISSIS-. -OMISSIS- sono state elette consiglieri comunali mentre -OMISSIS-, insieme alla stessa dott.ssa-OMISSIS-, erano assessori nella Giunta guidata dal sindaco -OMISSIS-.

In sintesi, alla base del disposto scioglimento, vi era l’assunto secondo cui forme di ingerenza della criminalità organizzata avrebbero esposto l’amministrazione a pressanti condizionamenti, compromettendo il buon andamento e l’imparzialità comunale.

3. I ricorrenti, nel premettere che il sig. -OMISSIS- ha presentato le sue dimissioni dalla carica di sindaco il 30 gennaio 2016, a seguito delle quali tutti gli incarichi degli altri ricorrenti sono decaduti, con il gravame introduttivo hanno chiesto l’annullamento del D.P.R. 20 aprile 2016 per i seguenti motivi:

I – Eccesso di potere per difetto d’istruttoria, travisamento dei fatti, difetto di motivazione, contraddittorietà e illogicità. Violazione dell’art. 143 del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267.

Il provvedimento impugnato e i suoi atti presupposti (relazione del Ministro e relazione della Prefettura) sono caratterizzati da numerosi errori e inesattezze, che illustrano un quadro distorto della condizione di fatto e di diritto in cui essi si inseriscono e denotano i vizi di difetto d’istruttoria, travisamento dei fatti e difetto di motivazione.

II – Violazione e falsa applicazione, per ulteriori profili, dell’art. 143 del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267.

Dai rilievi della relazione prefettizia non emergono atti o provvedimenti amministrativi che possano essere effettivamente considerati illegittimi, sicché manca il dato delle irregolarità amministrative, richiesto dalla giurisprudenza amministrativa. In ogni caso, le vicende segnalate dalla relazione prefettizia mancano di quei “saldi agganci” alla “mala gestione”, sempre richiesti dalla giurisprudenza, e non sono state analizzate nel loro contesto e in comparazione con altre vicende di ordinaria vita dell’Amministrazione locale.

III – Illegittimità derivata dall’illegittimità dell’art. 143 del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267, per violazione degli artt. 27 e 117, comma 1, Cost., in riferimento all’art. 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

In via subordinata, i ricorrenti deducono l’illegittimità costituzionale dell’art. 143 TUEL.

Poiché, ai sensi dell’art. 143 TUEL, lo scioglimento degli organi elettivi dell’ente locale può essere adottato senza che sia effettivamente riconosciuta una condotta propria e colpevole degli amministratori, la disposizione del testo unico consente che sia comminata una sanzione gravemente afflittiva, di tipo sostanzialmente penale, in violazione del principio della responsabilità penale personale.

4. Le Amministrazioni resistenti si sono costituite in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso.

Con l’ordinanza n. 3698/2015, preso atto della rinuncia alla domanda cautelare proposta nel ricorso, erano disposti incombenti istruttori per l’acquisizione dei provvedimenti impugnati e degli atti allegati in forma integrale.

5. Acquisita in atti tale copia integrale, i ricorrenti proponevano motivi aggiunti, derivanti dall’esame degli atti depositati, affidati alla seguente doglianza:

– eccesso di potere per difetto d’istruttoria, travisamento dei fatti, difetto di motivazione, contraddittorietà e illogicità per ulteriori profili. Violazione dell’art. 143 del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267, per ulteriori profili.

Affermano che dall’esito della documentazione acquisita emergono ulteriori travisamenti dei fatti ed errori nell’istruttoria, che confermano i vizi di difetto d’istruttoria e di motivazione, di contraddittorietà con gli atti di indagine e di eccesso di potere per illogicità, già sollevati con il ricorso introduttivo.

6. In vista della pubblica udienza fissata per la trattazione del ricorso, le Amministrazioni resistenti hanno depositato una memoria difensiva con la quale eccepiscono che la cessazione dei ricorrenti dalle rispettive cariche (determinata dalle dimissioni presentate dal sindaco -OMISSIS-), in epoca anteriore all’assunzione della misura dissolutoria impugnata, esclude la sussistenza di un interesse al ricorso.

Chiedono, quindi, che il ricorso sia dichiarato inammissibile ovvero, in subordine, che sia respinto in quanto infondato.

7. Anche i ricorrenti hanno presentato memorie difensive, insistendo, oltre che nella ammissibilità del ricorso, nella sua fondatezza.

8. All’udienza del 22 febbraio 2017, uditi i difensori delle parti presenti come da verbale, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Il Collegio preliminarmente osserva che il ricorso è ammissibile, nonostante i ricorrenti al momento dell’adozione del provvedimento impugnato fossero già cessati dalle rispettive cariche a causa delle dimissioni del sindaco.

In proposito, è sufficiente richiamare il costante indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, in disparte la circostanza che la durata della gestione commissariale ex art. 143, d.lgs. n. 267 del 2000 è più ampia di quella prevista in caso di scioglimento per dimissioni, non può negarsi che le persone fisiche, già componenti o titolari degli organi disciolti, abbiano interesse, se non alla conservazione del pregresso assetto amministrativo (in quanto già disgregato per altra causa), all’esatta qualificazione della fattispecie di scioglimento, atteso il ben diverso presupposto fattuale rappresentato dal condizionamento ab externo da parte della criminalità organizzata (Tar Lazio, sez. I, 2 marzo 2015, n. 3428; 19 maggio 2008, n. 4463).

Deve, quindi, riconoscersi un interesse concreto ed attuale dei ricorrenti a che il giudice adito affermi l’illegittimità del provvedimento impugnato per non essere legittime le affermazioni che legano la loro gestione e, ancora di più, le loro persone alla criminalità organizzata di stampo mafioso.

2. Prima di affrontare in dettaglio la fattispecie oggetto dell’odierna controversia, è opportuno sintetizzare i principi generali applicabili in materia, come desumibili dalla giurisprudenza.

Valga per tutti quanto precisato dal Consiglio di Stato (Sez. III, 24 aprile 2015, n. 2054), secondo cui lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose costituisce una misura straordinaria di prevenzione (Corte Cost. n. 103/1993), che l’ordinamento ha apprestato per rimediare a situazioni patologiche di compromissione del naturale funzionamento dell’autogoverno locale (Cons. Stato, Sezione III, 28.5.13, n. 2895); il D.P.R. con il quale è disposto lo scioglimento e la relazione ministeriale di accompagnamento, costituiscono, quindi, atti di “alta amministrazione”, perché orientati a determinare ugualmente la tutela di un interesse pubblico, legato alla prevalenza delle azioni di contrasto alle c.d. “mafie” rispetto alla conservazione degli esiti delle consultazioni elettorali (Cons. Stato, Sez. III, n. 2895/2013 cit.).

In relazione agli elementi sulla base dei quali può essere disposto il provvedimento di scioglimento ex art. 143 TUEL, le vicende che ne costituiscono il presupposto devono essere considerate “nel loro insieme”, non atomisticamente, e devono risultare idonee a delineare, con una ragionevole ricostruzione, il quadro complessivo del condizionamento “mafioso” (in termini: Cons. Stato, Sez. VI, 10 marzo 2011, n. 1547).

Ne consegue che assumono rilievo situazioni non traducibili in episodici addebiti personali ma tali da rendere – nel loro insieme – plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata (tra cui, in misura non esaustiva: vincoli di parentela o affinità, rapporti di amicizia o di affari, frequentazioni) e ciò pur quando il valore indiziario degli elementi raccolti non sia sufficiente per l’avvio dell’azione penale o per l’adozione di misure individuali di prevenzione (Cons. di Stato, Sez. III, 2 luglio 2014, n. 3340).

La norma di cui all’art. 143 cit., quindi, consente l’adozione del provvedimento di scioglimento sulla scorta di indagini ad ampio raggio sulla sussistenza di rapporti tra gli amministratori e la criminalità organizzata, non limitate alle sole evenienze di carattere penale, e perciò sulla scorta di circostanze che presentino un grado di significatività e di concludenza serio, anche se – come detto – di livello inferiore rispetto a quello che legittima l’azione penale o l’adozione di misure di sicurezza (Cons. Stato, Sez. III, 6 marzo 2012, n. 1266).

Nell’esercizio del potere di scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, trovano perciò giustificazione i margini, particolarmente estesi, della potestà di apprezzamento di cui fruisce l’Amministrazione statale nel valutare gli elementi su collegamenti, diretti o indiretti, o su forme di condizionamento da parte della criminalità di “stampo mafioso” (Cons. Stato, Sez. III, n. 3340/2014 cit.).

A ciò deve aggiungersi che, se è vero che gli elementi raccolti devono essere “concreti, univoci e rilevanti”, come è richiesto dalla “nuova formulazione” dell’art. 143, comma 1, TUEL, è tuttavia solo dall’esame complessivo di tali elementi che si può ricavare, da un lato, il quadro e il grado del condizionamento mafioso e, dall’altro, la ragionevolezza della ricostruzione operata quale presupposto per la misura dello scioglimento degli organi dell’ente, potendo essere sufficiente allo scopo anche soltanto un atteggiamento di debolezza, omissione di vigilanza e controllo, incapacità di gestione nella “macchina” amministrativa da parte degli organi politici che sia stato idoneo a beneficiare soggetti riconducibili ad ambienti “controindicati” (Cons. Stato, Sez. III, 28 maggio 2013, n. 2895).

Gli elementi sintomatici del condizionamento criminale devono caratterizzarsi per “concretezza” ed essere, anzitutto, assistiti da un obiettivo e documentato accertamento nella loro realtà storica; per “univocità”, intesa quale loro chiara direzione agli scopi che la misura di rigore è intesa a prevenire; per “rilevanza”, che si caratterizza per l’idoneità all’effetto di compromettere il regolare svolgimento delle funzioni dell’ente locale. La definizione di questi precisi parametri costituisce un vincolo con il quale il legislatore della l. 9/2009 non ha voluto elidere quella discrezionalità, ma controbilanciarla, ancorandola a fatti concreti e univoci, in funzione della necessità di commisurare l’intervento più penetrante dello Stato a contrasto del fenomeno mafioso con i più alti valori costituzionali alla base del nostro ordinamento, quali il rispetto della volontà popolare espressa con il voto e l’autonomia dei diversi livelli di governo garantita dalla Costituzione (Cons. Stato, Sez. III, 20 gennaio 2016, n. 197 e 19 ottobre 2015, n. 4792).

Proprio in ragione della straordinarietà dell’indicata misura e della sua fondamentale funzione di contrasto alla capillare diffusione, tramite connivenza con le amministrazioni locali, della criminalità organizzata sull’intero territorio nazionale, deve ritenersi che la suindicata modifica dell’art. 143 cit. non implica una regressione della “ratio” sottesa alla disposizione, poiché “la finalità perseguita dal legislatore è rimasta quella di offrire uno strumento di tutela avanzata, in particolari situazioni ambientali, nei confronti del controllo e dell’ingerenza delle organizzazioni criminali sull’azione amministrativa degli enti locali, in presenza anche di situazioni estranee all’area propria dell’intervento penalistico o preventivo” (Cons. Stato, Sez. III, 23 marzo 2014, n. 2038), nell’evidente necessità di evitare, con immediatezza, che l’amministrazione locale rimanga permeabile all’influenza della criminalità organizzata per l’intera durata del suo mandato elettorale (Cons. Stato, Sez. III, n. 3340/2014 cit.).

Sulla base di tali presupposti, quindi, e in riferimento al grado di ampiezza dei poteri di cui dispone il giudice amministrativo nell’esame delle impugnazioni di tali provvedimenti di scioglimento, considerata la suddetta natura del procedimento dissolutorio, può essere esercitato solo un sindacato di legittimità di tipo “estrinseco”, senza possibilità di valutazioni che, al di fuori dell’espressione dell’ipotesi di travisamento dei fatti o manifesta illogicità, si muovano sul piano del “merito” amministrativo (Cons. Stato, Sez. III n. 1266/2012, cit.).

3. Passando ad esaminare i presupposti dello scioglimento, si rileva che essi sono adeguatamente indicati nella relazione della commissione d’accesso e nella conseguente relazione prefettizia, acquisite integralmente a seguito dell’istruttoria disposta, sulle quali si è fondata la proposta di scioglimento del Ministro dell’Interno accolta nel D.P.R. impugnato con il ricorso.

Nella proposta ministeriale si evidenzia, in particolare:

– la presenza di alcune inchieste giudiziarie che hanno reso palese la presenza sul territorio comunale di una cosca della ‘ndrangheta interessata ad infiltrarsi nel tessuto economico-sociale anche attraverso l’opera di imprenditori collusi che hanno favorito il riciclaggio di denaro proveniente da attività criminali;

– la suddetta cosca, operante a Brescello, è guidata da un esponente malavitoso residente nel Comune, legato per vincoli familiari a una ‘ndrina operante al di fuori del contesto regionale emiliano e destinatario di una condanna definitiva per mafia e di misure di prevenzione;

– a fronte della presenza della criminalità organizzata sul territorio, dell’attribuzione da parte del comune di lavori a ditte poi risultate destinatarie di provvedimenti prefettizi interdittivi, di minacce perpetrate ai danni di alcuni amministratori comunali, il Prefetto di Reggio Emilia ha deciso di disporre una mirata attività di accesso nel comune di Brescello, ai sensi dell’art. 143, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;

– in seguito alle verifiche ispettive disposte, il Prefetto ha dato atto della sussistenza di concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti ed indiretti degli amministratori locali con la criminalità organizzata di tipo mafioso e su forme di condizionamento degli stessi, riscontrando pertanto i presupposti per l’applicazione delle misure di cui al citato art. 143.

La relazione prefettizia, in particolare, ha ravvisato:

– la capacità della cosca di accreditarsi nelle articolazioni economiche e sociali, rispetto alle quali si sono riscontrati atteggiamenti di acquiescenza degli amministratori comunali che si sono avvicendati alla guida del Comune;

– la sostanziale continuità politico-famigliare che ha visto governare negli ultimi trent’anni esponenti della famiglia -OMISSIS- (prima il -OMISSIS- e poi, dal 2009, il -OMISSIS-, prima assessore all’urbanistica e poi sindaco), oltre che di altri soggetti, presenti sia nelle precedenti giunte che in quella guidata dall’odierno ricorrente;

– la circostanza che taluni amministratori sono entrati in relazione con imprenditori vicini alla ‘ndrangheta, per effetto della partecipazione congiunta a un comitato locale politico nel 2007;

– la presenza di soggetti contigui alla criminalità organizzata che hanno svolto ruoli attivi nell’ente allorché il sindaco -OMISSIS- rivestiva la carica di assessore o componente della Commissione permanente urbanistica;

– esternazioni pubbliche del primo cittadino in favore della cosca locale, seguite da una manifestazione pubblica di sostegno al sindaco, cui hanno partecipato, oltre allo stesso -OMISSIS-, esponenti della cosca e seguita da una raccolta di firme a sostegno del sindaco, molte delle quali appartenenti a soggetti vicini alla consorteria criminale;

– un esplicito sostegno al sindaco, a seguito della manifestazione, da parte di esponenti della cosca, nel corso di interviste successive;

– indebite interferenze della cosca nella vita amministrativa del Comune, attraverso minacce e intimidazioni a un consigliere di minoranza;

– altri elementi indicativi della situazione di condizionamento politico e amministrativo dell’ente.

In relazione a tale ultimo aspetto, la relazione dà conto, tra l’altro, della vicenda della variante al piano urbanistico per la realizzazione di un supermercato in centro città denominato “-OMISSIS-”, in cui è stato consentito a soggetti controindicati di programmare ed effettuare una rilevante operazione imprenditoriale, nonché del fenomeno delle assunzioni, nel passato, seppur per brevi periodi, di soggetti “legati” a vario titolo ad esponenti della cosca.

Si fa, inoltre, riferimento all’attribuzione di un alloggio comunale, in deroga alle graduatorie comunali, ad un parente del locale vertice della ‘ndrina, e all’assegnazione di un altro alloggio, dietro pagamento di un modesto canone, a un soggetto legato da vincoli parentali con esponenti della consorteria criminale, in assenza di controlli sulla situazione reddituale dichiarata.

La relazione richiama, infine, ulteriori elementi, risalenti anche alle precedenti consiliature, dai quali desume indici di collegamenti tra la criminalità organizzata e gli amministratori dell’ente.

4. Osserva il Collegio che, diversamente da quanto prospettato da parte ricorrente con il primo motivo di impugnazione e coi motivi aggiunti, il provvedimento gravato ha correttamente individuato la sussistenza dei presupposti di fatto che legittimano l’adozione del provvedimento di cui all’art. 143, d.lgs. 267/2000, evidenziando, con argomentazione logica e congruente, la sussistenza di una significativa rete di collegamenti e vicinanze, dalla quale si è logicamente inferita l’esistenza del condizionamento.

Il complesso quadro individuato e sopra sintetizzato, alla luce della più volte ricordata necessità di una valutazione unitaria dei fatti, non viene in concreto depotenziato dalle singole contestazioni contenute in atti, che, pur facendo emergere, a tutto concedere, l’esistenza di alcune inesattezze, non risultano idonee ad elidere i profili di forte e decisa valenza rivelatrice dei collegamenti esistenti tra gli amministratori locali e la criminalità organizzata e dei conseguenti condizionamenti, gli effetti dei quali vanno sempre valutati tenendo conto delle circostanze ambientali e dell’implausibilità di una lettura complessiva alternativa (cfr. Cons. Stato, sentenza n. 197/2016).

5. Pure infondato è il secondo motivo articolato nel gravame, in quanto le vicende segnalate, alla luce della pluralità dei fatti considerati sintomatici dell’esistenza di legami e contatti tra l’amministrazione comunale e la criminalità organizzata e della ricchezza del quadro fattuale emerso, sono idonee a fondare l’adozione della misura impugnata.

La circostanza che nella relazione prefettizia manchi il riferimento a provvedimenti illegittimamente assunti dalla disciolta amministrazione comunale non appare significativa, in quanto l’art. 143 TUEL non richiede l’adozione di atti invalidi, purché, come nel presente caso, gli elementi raccolti siano idonei a dimostrare la sussistenza del condizionamento mafioso.

La presenza di rilievi mossi in relazione ad episodi verificatisi nel corso delle precedenti consiliature non appare, infine ingiustificata, attesa la sostanziale continuità politico-famigliare, adeguatamente documentata, tra tali consiliature e quella oggetto dell’impugnata misura di scioglimento.

6. Quanto al terzo motivo, il Collegio richiama il granitico orientamento giurisprudenziale, dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, secondo il quale il provvedimento di scioglimento.ex art. 143 TUEL si basa sull’accertata diffusione sul territorio della criminalità organizzata e tale misura non ha natura di provvedimento “sanzionatorio” (ex multis, Cons. Stato, Sez. III, 26 settembre 2014, n. 4845), non avendo finalità repressive nei confronti di singoli, ma rispondendo allo scopo fondamentale di salvaguardare la funzionalità dell’amministrazione pubblica.

7. Alla luce di quanto dedotto, quindi, il gravame e i relativi motivi aggiunti non possono trovare accoglimento.

8. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono poste a carico dei ricorrenti nella misura quantificata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, integrato da motivi aggiunti, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di lite in favore delle Amministrazioni resistenti, in misura pari a € 1.500,00, oltre oneri accessori.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le generalità dei ricorrenti.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 febbraio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Carmine Volpe, Presidente

Roberta Cicchese, Consigliere

Lucia Maria Brancatelli, Referendario, Estensore

 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Lucia Maria Brancatelli Carmine Volpe