Dopo aver letto le 1011 pagine delle motivazioni della sentenza d’appello del rito ordinario del processo Aemilia abbiamo deciso, in questo editoriale, di raccontare quello che il giudice ha descritto come “borghesia mafiosa” a servizio della “holding criminale” emiliana [continua dalla prima].
– LA BORGHESIA MAFIOSA –
“Si tratta di una mafia affarista che si muove oggi in Emilia in modo diverso rispetto alle regole tradizionali e che necessita del supporto tecnico e dell’appoggio operativo di commercialisti, fiscalisti, uomini delle Forze dell’Ordine, giornalisti e rappresentanti della politica locale”
si legge nelle motivazioni della sentenza. Il pentito Luigi Bonaventura, non a caso, afferma: “In Emilia hanno carta bianca per sperimentare nuovi modelli criminali”. L’importanza dell’Emilia per la ‘ndrangheta cutrese viene anche sottolineata dal pentito Vincenzo Marino: “L’Emilia è stata la cassaforte ed è la cassaforte dei cutresi”. Ecco dunque spiegato il motivo che ha spinto il giudice a parlare di “borghesia mafiosa esistente al nord, composta da imprenditori, liberi professionisti e politici che fa affari con le cosche”.
È in questo quadro che si inserisce la figura della commercialista bolognese Roberta Tattini, nuovamente condannata a 8 anni e 8 mesi di reclusione e definita dal giudice Calandra come la “consigliori della cosca”. Il GUP Zavaglia, che scrisse le motivazioni della sentenza di primo grado, sostenne che la Tattini
“per un arco di tempo significativo, oltre un anno, ha operato affinchè il sodalizio potesse concludere lucrose transazioni e ottenere guadagni dal reimpiego dei capitali provento di attività delittuosa e la stessa ha certamente contribuito al suo rafforzamento, considerato il tratto marcatamente imprenditoriale della cellula di ndrangheta emiliana”.
Tante le operazioni finanziarie gestite dalla professionista bolognese. L’affare Blindo, relativo alla ricettazione di 1 milione 400 mila euro provenienti dalla rapina ad un furgone blindato. Il progetto relativo al Parco Eolico di Cutro, finalizzato a creare un pool di imprese per la realizzazione di appalti in Calabria per un valore di circa 150 milioni di euro. Il Fallimento Rizzi Costruzioni, vicenda che vede impegnati i massimi livelli del sodalizio nella speranza di acquisire, attraverso un concordato fallimentare di soli 27 milioni di euro, alcuni beni immobili di un valore di circa 64 milioni nella zona gardesana di Verona.
La Tattini ha ammesso di aver intrattenuto contatti con alcuni esponenti della ‘ndrangheta calabrese, “ma nell’ambito della propria attività professionale senza alcuna finalità ulteriore di consentire al sodalizio mafioso di estendere il proprio potere economico”. Versione totalmente smentita dal giudice che richiama la famosa intercettazione telefonica in cui la Tattini descrive Nicolino Grande Aracri come il “sanguinario” esortando il marito
“a comprendere che la visita del boss era un grande onore”.
Per sottolineare la “perfetta consapevolezza della commercialista dell’illiceità della propria condotta e del rischio al quale la frequentazione del sodalizio la esponeva” il giudice cita anche un’altra intercettazione telefonica che vede la Tattini parlare con il collega Giovanni Summo e pretendere che fosse il sodalizio a metterle a disposizione i propri valenti avvocati in caso di arresto.
“Io gliel’ho detto, ricordatevi bene, e me lo aspetto visto che siete uomini d’onore. Cazzo però voglio il migliore a difendermi. Porca troia mi tirate fuori. Io ci posso anche stare un po’, a me non me ne fotte un cazzo. Quello che ho detto mi aspetto, perché ho paura che con il mio sto dentro altri 20 anni, cioè voglio i vostri avvocati mi tirate fuori, è il minimo eh”.
All’interno della borghesia mafiosa citata dal giudice, rientra a pieno titolo anche Giulio Gerrini, responsabile del Servizio lavori pubblici, manutenzione, ambiente e gestione energia del Comune di Finale Emilia, e condannato in primo e secondo grado a 2 anni e 4 mesi. Si legge nelle motivazioni della sentenza:
“Gerrini ha favorito le imprese di Augusto Bianchini, del figlio Alessandro e della moglie Bruna Braga negli appalti conferiti in materiale edile e di smaltimento rifiuti a seguito del terremoto in Emilia, mettendoli prima del tempo al corrente dei termini stabiliti dalla Regione, concordando con essi preventivamente le strategie di intervento e i progetti e così favorendo gli stessi e se medesimo cui veniva riservato il 2% dell’importo a base d’asta dei lavori commissionati”.
Da citare, infine, la figura di Domenico Mesiano, assistente capo presso la Questura di Reggio Emilia, che viene condannato in primo e secondo grado alla pena a 8 anni e 6 mesi di reclusione con l’accusa di concorso esterno.
“Mesiano-scrive il giudice- mise a disposizione della cosca la propria figura professionale attraverso cinque differenti direttrici di azione. Come canale informatico, come referente per pratiche amministrative, come garante e fonte di accreditamento delle persone della cosca presso la Questura reggiana, come strumento di difesa della cosca da un attacco mediatico, come supporto in caso di qualunque necessità”.