di Paolo Bonacini. Pubblicato su Il Fatto Quotidiano il 21 marzo 2019.
Un sistema consolidato di ricorso agli uffici postali in Emilia Romagna che utilizzava le società di incensurati imprenditori veneti per far perdere le tracce delle operazioni illecite compiute. È quello che emerge dall’operazione della dda di Venezia contro la cosca Grande Aracri: contestate truffe societarie, false fatturazioni per operazioni inesistenti, spostamenti di soldi funzionali a riciclare denaro sporco e a generare contante pulito.
Ben 116 capi di imputazione dell’operazione Camaleonte, condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Venezia contro la cosca Grande Aracri, riguardano truffe societarie, false fatturazioni per operazioni inesistenti, spostamenti di soldi funzionali a riciclare denaro sporco e a generare contante pulito. Un sistema consolidato di ricorso agli uffici postali in Emilia Romagna che utilizzava le società di incensurati imprenditori veneti per far perdere le tracce delle operazioni illecite compiute. L’inchiesta, come in Aemilia, evidenzia un impressionante utilizzo di Poste Italiane come principale deposito e cassa per la ‘ndrangheta delle famiglie Grandi Araci/Sarcone. Una cosca che in quindici anni, all’inizio del terzo millennio, ha conquistato le tre regioni più ricche del nord, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, dove si realizza il 40% del Pil italiano e dove la domanda di soluzioni illecite per evadere il fisco ed abbassare i costi è dilagante nel ricco tessuto economico.
I passaggi delle tantissime operazioni fraudolente raccontati dall’inchiesta Camaleonte si riassumono in poche righe. In primo luogo gli emissari della mafia consegnavano agli imprenditori veneti (minacciati o collusi) il contante da riciclare, attraverso incontri in luoghi sempre diversi. Poi le società gestite o controllate dalla cosca emettevano fatture false verso le aziende dei medesimi imprenditori che provvedevano a pagare con bonifici, depositati sui conti correnti postali della provincie di Reggio Emilia e Modena dove i soldi venivano ritirati con un vorticoso giro di prelievi sempre per piccole cifre. È’ il cosiddetto “smurfing”, cioè l’insieme di movimentazioni ripetute e di modesta entità messe in atto per restare al di sotto della soglia d’attenzione.
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