di Sofia Nardacchione. Pubblicato su Il Fatto Quotidiano il 25 settembre 2019.
L’uomo si era “pentito” a inizio 2017, poco prima della condanna a 26 anni per associazione mafiosa e gioco d’azzardo illegale nel primo grado del processo in corso a Bologna. Per gli inquirenti non sta aggiungendo niente a un “quadro probatorio già granitico”.
Quando Nicola ‘Rocco’ Femia aveva iniziato a collaborare con la giustizia, tra le cosche di ‘ndrangheta in molti erano preoccupati. La decisione del boss era arrivata a inizio 2017, subito dopo la condanna definitiva a 23 anni per narcotraffico internazionale in Calabria e poco prima della condanna in primo grado a 26 anni per associazione mafiosa a Bologna: le sue dichiarazioni avrebbero potuto investire la ‘ndrangheta calabrese come quella emiliana. Ma proprio nel processo Black Monkey, che si sta celebrando nella Corte d’appello del capoluogo emiliano, in tanti non credono nella genuinità della collaborazione. A partire dal procuratore generale Nicola Proto.
Nell’ultima udienza del processo che vuole fare chiarezza sulla cosca legata a Nicola ‘Rocco’ Femia e sul suo business principale, il gioco d’azzardo legale e illegale, il pg ha infatti parlato di una “collaborazione che non possiamo ritenere tale”. Secondo Proto quelle di Femia sono “semplici dichiarazioni”. Anche perché quanto dichiarato dal boss ai magistrati della Dda di Bologna, non aggiunge niente a un “quadro probatorio granitico”.
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