di Lucio Musolino. Pubblicato su Il Fatto Quotidiano il 25 settembre 2019.
Regge l’impianto accusatorio della Dda guidata da procuratore Nicola Gratteri e rappresentata in aula dal procuratore aggiunto Vincenzo Luberto e Domenico Guarasci.
Associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, favoreggiamento, turbativa d’asta e corruzione elettorale. Davanti al gup di Catanzaro, il processo “Stige” si conclude in primo grado con 66 condanne, per oltre 600 anni di carcere, e 38 assoluzioni. Regge l’impianto accusatorio della Dda guidata da procuratore Nicola Gratteri (nella foto) e rappresentata in aula dal procuratore aggiunto Vincenzo Luberto e Domenico Guarascio.
Alla sbarra, secondo gli inquirenti, c’era l’holding criminale legata alla cosca Farao-Marincola di Cirò Marina: 104 imputati tra boss e gregari della ‘ndrangheta, ma anche imprenditori e politici locali tra sindaci, ex sindaci e assessori come i fratelli Roberto e Nevio Siciliani condannati a 8 anni di carcere per concorso esterno.
Alla famiglia Siciliani ha reso dichiarazioni il pentito Francesco Farao che ai pm di Catanzaro ha spiegato i rapporti politici della sua cosca: “Erano i candidati a sindaci a recarsi direttamente dagli esponenti apicali della cosca”. Sulla famiglia Siciliani, il pentito ha detto che “è titolare di una grossa società immobiliare ed edile denominata Ionica Immobiliare, detentrice di numerosi immobili in Cirò Marina. Ebbene molti di questi immobili sono stati donati a diversi componenti della cosca”. “Le assegnazioni – aggiunge – sono state delle vere e proprie donazioni. Lo scambio sinallagmatico trova il suo sfogo in alcune competizioni elettorali in cui la famiglia Siciliani è stata favorita dalla consorteria”.
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