Di Paolo Bonacini, pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” il 06.07.2019
Dopo Aemilia, Angeli e demoni e Grimilde hanno mostrato preoccupanti coinvolgimenti di amministratori e dirigenti della cosa pubblica Ma manca la reazione forte. Così quando arrivano le indagini e gli arresti, mai una riflessione critica, mai un contributo al perché e cosa e chi non ha funzionato o non ha impedito che i farabutti prendessero il largo.
I 27 indagati (con 6 arresti) dell’indagine “Angeli&Demoni” rappresentano l’ultimo tassello di varie inchieste aperte negli ultimi mesi da Forze dell’Ordine, Procura e Direzione Antimafia a Reggio Emilia. Con preoccupanti coinvolgimenti nelle diverse inchieste di servizi essenziali alla persona e di amministratori e dirigenti della cosa pubblica.
Pochi giorni prima l’operazione Grimilde aveva svelato la piena continuità delle attività malavitose di ‘ndrangheta in provincia, anche dopo i 117 arresti di Aemilia nel gennaio 2015. L’arresto dei Grande Aracri a Brescello ha spazzato via definitivamente la tesi del complotto cara a molti amministratori (sia ex che attuali) del Comune che, fino a poco tempo fa, dicevano: “Hanno scelto il nostro paese come capro espiatorio”. Nel mese di marzo l’inchiesta “Camaleonte” in Veneto aveva portato ulteriore conferma a ciò che già era evidente con Aemilia: cuore e baricentro della mafia economica radicata nel nordest è la provincia di Reggio Emilia, nei cui uffici postali avviene spesso la monetizzazione degli affari sporchi.
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