Forli, anno 2019. Due imprenditori italiani di una ditta di produzione di alimenti senza glutine dovranno rispondere delle ipotesi di reato di “sfruttamento del lavoro” e “impiego di manodopera clandestina”. Vittima del presunto caso, un marocchino di 36 anni. Secondo le indagini del nucleo ispettorato del lavoro dei carabinieri di Forlì, il magrebino, approfittando della sua estrema povertà e dietro la falsa promessa di un’assunzione, fra aprile e agosto 2017 aveva lavorato, senza contratto, per oltre 11 ore al giorno, senza mai riposi settimanali o ferie. Come pagamento aveva ricevuto appena duemila euro, rispetto agli oltre 13mila maturati. Un euro all’ora, a fronte dei sette previsti dal contratto nazionale.
Questa ANSA delle 18.19 potrebbe passare ai più come una notizia tra le altre a cui dare poca importanza e da dimenticare in pochi minuti. Non può più, però, passare così se si ha un minimo di conoscenza del proprio territorio. Allora diventa essenziale iniziare a mettere in fila tutta una serie di indagini, arresti, operazioni che nell’ultimo anno hanno coinvolto la Romagna, antica terra di lavoro e valori ormai perduti.
13 marzo 2019 – Due presunti caporali sono stati denunciati dall’Ispettorato territoriale del lavoro. Secondo le indagini i due, un nigeriano e un italiano, reclutavano lavoratori extracomunitari (in particolare nigeriani) da inviare come facchini in uno stabilimento alimentare del Ravennate, facendosi consegnare una cifra dai 200 ai 400 euro, arrivando a intimidirli se per caso si rifiutavano. In alcuni casi si facevano anche consegnare altri 50 euro ogni mese. I due presunti caporali applicavano ai lavoratori contratti a termine, in modo da poter richiedere soldi una volta scaduti per il rinnovo.
12 ottobre 2018 – Un’altra operazione dei carabinieri della compagnia di Cesena assieme ai militari del nucleo Ispettorato del Lavoro di Forlì, scoperchiò un sistema di sfruttamento del lavoro e di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina che si ramificava tra il ravennate, cesenate e il forlivese. Ancora una volta il sistema degli “appalti all’esterno”, commissionati dalle grandi aziende a cooperative formalmente in regola gestite da stranieri, ma che di fatto campavano sullo sfruttamento dei loro connazionali, si è rivelato l’ “anello debole” della catena dove si annidavano sfruttamento, mancanza di controlli, precarie condizioni igieniche e mancato rispetto delle normative di sicurezza. Nelle strutture controllate operava una coppia di marocchini, uno dei quali era titolare di due cooperative di reclutamento di forza lavoro per l’agricoltura, che presentava formalmente tutte le carte in regola, mentre l’altro era quello che i lavoratori sfruttati definivano il “capo”, richiamando così anche nella terminologia quel “caporale” che poi dà il nome stesso al fenomeno. Era il “capo” in particolare che li pagava, che commissionava il lavoro a volte la notte stessa con poche ore di avviso, che li alloggiava in case in cui erano stipati in 13 con un solo bagno e i materassi in terra. Per tenerli soggiogati, secondo le indagini, il “capo” dilazionava parte dello stipendio del mese, così che se avessero denunciato avrebbero perso il compenso per il lavoro già eseguito. Compenso che per i circa venti marocchini identificati come lavoratori sfruttati era fondamentale per vivere. Anche in questa circostanza il lavoratore si doveva pagare l’alloggio (100-150 euro a posto letto, anche se il posto letto era un materasso buttato in terra), e a pagamento erano anche i viaggi in pulmino per raggiungere il posto di lavoro, 2 euro a viaggio.
22 settembre 2018 – Un’indagine della Guardia di Fiananza di Forlì-Cesena portò all’arresto di tre persone di nazionalità marocchine con l’accusa di reclutamento e sfruttamento di manodopera in imprese agricole tra Forlì-Cesena, Verona e Ravenna. Inoltre, tra le persone indagate vi sono due imprenditori locali, i quali hanno già ricevuto l’informazione di garanzia e per i quali sarà valutata ogni responsabilità per l’utilizzo presso le loro aziende agricole (formalmente mediante contratti di appalto) di numerosi lavoratori reclutati e sfruttati dalle citate cooperative. Nei confronti di sei società sono stati infine notificati gli avvisi di garanzia in ordine alla responsabilità dell’impresa nella commissione del reato contestato da parte dei suoi rappresentanti. Le indagini, avviate in seguito a segnalazioni di alcuni lavoratori nell’estate del 2017 raccontò come le tre persone arrestate gestivano, anche tramite “prestanome”, diverse società cooperative con cui avevano reclutato decine di lavoratori da destinare a imprese agricole operanti soprattutto nel settore dell’allevamento dei polli. Le condizioni a cui erano al limite della semi-schiavitù: compensi orari compresi tra i 3 e i 6 euro, orari che potevano arrivare a 14 ore al giorno sia con forte caldo estivo sia col freddo invernale, infortuni o malattie comportavano rimproveri e penalizzazioni per il lavoratore stesso. I lavoratori vivevano in alloggi sovraffollati e senza adeguati servizi igienici (e talvolta anche senza materassi per tutti) per cui tuttavia dovevano versare un esose canone mensile. Le vittime di tali abusi erano tutte persone particolarmente fragili e quindi ricattabili: richiedenti protezione internazionale in attesa di risposta, stranieri irregolari, soggetti con temporanei permessi di soggiorno. E come non bastasse, subivano continue minacce.
18 luglio 2018 – Non solo agricoltura, infatti la Guardia di Finanza di Cesena scoprì un’organizzazione sospettata di sfruttare lavoratori, di nazionalità pachistana. Le indagini svolte nell’ambito di un procedimento penale aperto dalla Procura della Repubblica di Forlì permisero di documentare lo sfruttamento cui erano sottoposti i numerosi cittadini pachistani, reclutati illecitamente per l’attività di distribuzione di volantini pubblicitari effettuata in diverse province dell’Emilia Romagna. I lavoratori erano costretti a vivere in condizioni igienico-sanitarie precarie, in un’abitazione di Gambettola, presa in affitto dai “caporali”. Per poter soggiornare ammassati in quell’appartamento i lavoratori pagavano un canone di locazione mensile (tra i 100 ed i 200 euro) che veniva defalcato dalla loro già magra paga mensile. Al momento dell’accesso in quest’abitazione i militari hanno individuato 9 persone presenti in spazi ristretti, con materassi in terra e preoccupanti condizioni igieniche. Sul lavoro, sempre secondo le indagini, tutti i lavoratori venivano sottoposti illecitamente a continua sorveglianza da parte dei “caporali” attraverso sistemi di localizzazione satellitare (gps) dei cellulari che ne monitoravano tutti gli spostamenti, così limitandone la libertà personale. Al termine delle indagini fu rilevato che i caporali erano in realtà dei dipendenti di altre società operanti nel riminese per le quali reclutavano quotidianamente distributori di volantini e per le quali emettevano fatture per operazioni inesistenti, quantificate in oltre 1,9 milioni di euro. Di fatto le società “in regola” si interfacciavano con i grandi committenti dei volantini pubblicitari e poi subappaltavano l’attività a imprese individuali ritenute fittizie dalla Guardia di Finanza, avendo così abbattimenti di costi sia fiscali sia per il personale, che non risultava così alle loro dipendenze.
Questi sono solo esempi eclatanti che si riferiscono all’ultimo anno ma mostrano la punta dell’iceberg di una situazione di irregolarità diffusa. A ulteriore dimostrazione su questo tema e su questo territorio romagnolo si è concentrato anche l’ultimo rapporto “Agromafie e caporalato” dell’osservatorio Placido Rizzotto Flai-CGIL che parla di cifre preoccupanti: il caporalato colpirebbe circa il 15-20% dei lavoratori attivi nelle campagne e allevamenti delle province di Ravenna e Forli-Cesena.
Da qui bisognerebbe partire per un ragionamento serio e radicale su cosa significhi legalità in Romagna, e da qui bisognerebbe estendere il punto di osservazione fino al porto di Ravenna e alle finte cooperative o cooperative “spurie” che sfruttano i lavoratori o al settore dei lavoratori del turismo. In una fetta di Regione che sente di riflesso e solo in lontananza gli effetti del processo Aemilia, il tema della legalità sembra sempre toccare gli altri e il racconto risulta sempre essere quello di “strani corpi estranei” che arrivano sul nostro territorio. Così non è. E il decreto sicurezza che sta mettendo per strada persone fragili (quindi spesso ricattabili) non fa altro che creare altra manodopera a bassissimo costo disponibile per quegli imprenditori che, ancora oggi, nel 2019 continuano a calpestare i diritti e la dignità dei lavoratori per il solo e semplice tornaconto personale.