Il Tirreno – Livorno 31 maggio 1998 –
FIRENZE – ‘Ndrangheta a Livorno, camorra in Versilia, Cosa nostra a Grosseto, Prato, Firenze e Pistoia: una holding criminale radicata e potente che si è manifestata, nelle carte processuali, all’inizio degli anni Novanta. Ma che esiste, fa affari, si insinua nel tessuto sociale, da ben prima. E non solo. Secondo il rapporto sulle infiltrazioni mafiose in Italia che la rivista economica «Il mondo» pubblica sul numero di questa settimana, sono anche altri i fenomeni criminali radicati nella regione: mafie che vengono da lontano, altrettanto pericolose, quella russa, la mafia cinese, le brutali organizzazioni albanesi. Eppure, secondo Margherita Cassano, uno dei magistrati della Direnzione distrettuale antimafia toscana: «Non siamo al punto di degenerazione di altre regioni. Ci sono state manifestazioni criminali gravi ma il corpo sociale ha reagito. Nonostante il tentativo, le organizzazioni criminali non sono riuscite ad assoggettare quella parte di società sana che ha reagito e denunciato. Ecco perché – conclude – in Toscana è difficile condannare per associazione per delinquere di stampo mafioso. Mancano due dei tre requisiti: i vincoli omertoso e di assoggettamento esterno». Ciò non toglie che di mafiosi si sia trattato. Le «cellule» di Cosa nostra – L’allarme mafia scoppia – secondo alcuni magistrati – inaspettato nel 1991 a Prato. Si può dire che l’inchiesta sulla «mafia del tessile» con a capo Antonio Vaccaro, palermitano, sia la «madre» di molte indagini sulle infiltrazioni mafiose in Toscana. Siciliani in odor di mafia e toscani usati come manovalanze o come procacciatori di affari inglobano aziende sull’orlo del fallimento per depredarne i capitali. E’ il 1991. Da allora i magistrati toscani non si sono più fermati. Praticamente in concomitanza parte una indagine della Dda fiorentina du un traffico di armi e droga che passa per Pistoia e Montecatini. A gestirlo secondo il pubblico ministero Giuseppe Nicolosi sono «pezzi da novanta» di Cosa nostra vincente: i Corleonesi. Giacomo Riina, zio dell’ex primula rossa, capo di Cosa nostra Totò, Antonino Vaccaro ritenuto uno delle «braccia operative» dell’organizzazione, Remo Giacomelli di Pescia, assieme ad altre numerose persone, fanno soldi gestendo il passaggio di grandi quantitativi di stupefacenti e di armi. Sempre a Pistoia parte un’inchiesta su infiltrazioni catanesi ed è Arcidiacono il personaggio di spicco. Nel 1993 a Prato «scoppia» il caso Nicotra: una intera famiglia di Misterbianco (Catania), perdente in patria, organizza traffici di tutti i generi da Migliana (si scoprirà anche un intero arsenale di armi sotterrato). Ed è a Firenze che il braccio armato di Cosa nostra, intera Cupola consapevole e in buona parte d’accordo, organizza la strage dei Georgofili: più di mille chili di tritolo diretti agli Uffizi uccidono cinque persona distruggendo completamente la Torre dei Pulci. I tentacoli dell ‘ndrangheta – Arrivano in Toscana, micidiali. E non nell’interno ma sulla costa. La prima infiltrazione parte da Donoratico a pochi chilometri da Livorno (il processo è in corso in questi giorni). Michelangelo Fedele, il boss, incappa in una serie di contrasti con i Piromalli dai quali parte una faida sanguinosa. Scappa in Toscana dove ripristina una rete fittissima di affari: droga e estorsioni. «A lui – ha detto ieri uno dei pochissimi pentiti di ‘ndrangheta Giuseppe Scriba – interessavano solo i soldi». Vessa decine di piccoli commercianti del litorale che in udienza, terrorizzati perchè il boss è libero per decorrenza termini, ritrattano. Altrettanto clamorosa l’attività di alcuni esponenti del famiglia Pesce-Pisano di Rosarno, potentissima cosca calabrese specializzata nel riciclaggio di denaro sporco, a Prato. Si istallano in una magnifica Villa di Bonistallo a Poggio a Caiano (valore un miliardo e mezzo) alle porte di Prato per «ripulire» i miliardi ottenuti attraverso truffe Cee e all’Aima. In Toscana acquistano: ristoranti, ville, esercizi. I carabinieri sequestrano beni per dieci miliardi «guadagnati» in nemmeno due anni, dal’ 91 al’ 93. In Versilia i clan della camorra – I campi di intervento non cambiano: droga e armi. Il clan Di Giovine collegato alla famiglia Cozzolino, ha la sua rocca forte tra Lucca, la versilia e Pistoia. Secondo il gip di Lucca che ha trasferito il processo che tra breve andrà a ruolo a Livorno, il sodalizio criminoso si stipula nel carcere di Pianosa. Ma è sempre sulla costa che è attivissimo il clan Saccà, forte su Livorno, specialiazzato in usura, che ha agganci un po’ con Cosa nostra e un po’ con la camorra.
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