Descrivere il caporalato in Emilia Romagna non è semplice, ma doveroso. Questo fenomeno, infatti, assume connotati diversi in base alla regione in cui si sviluppa. Il primo passo per riconoscere tale reato all’interno di un territorio è quello di comprendere le dinamiche che si sviluppano, in quel dato territorio, sia dal punto di vista economico che lavorativo.

Da sempre l’Emilia Romagna viene descritta come un’isola felice, terra in cui stranieri e meridionali hanno trovato lavoro, regione in cui si è sviluppato un sistema ritenuto da tanti come un modello da seguire. Eppure è proprio in queste “eccellenze” che si annida, da sempre, il fenomeno del caporalato. Non deve dunque stupire se nel 2017 la nostra regione si è classificata al quarto posto per lavoratori irregolari. E’ in questo scenario che si collocano, all’interno del processo Aemilia, le condanne per i reati di intermediazione di manodopera e di sfruttamento del lavoro nei confronti di Giuseppe Giglio, Giuseppe Richichi e Augusto Bianchini. Quest’ultimo, noto imprenditore di Finale Emilia, ritenuto colpevole anche di concorso esterno.

Ed è sempre all’interno del maxiprocesso che si è svolto a Reggio Emilia che hanno pesato come macigni le parole del collaboratore di giustizia Antonio Valerio il quale, durante la sua lunghissima deposizione, ha raccontato la massiccia migrazione di cutresi a Reggio negli anni 80: “Al Nord gli tiravano il sangue, glielo risucchiavano con la siringa. Già nel 1986 ammassavano 30, 50, fino a 80 persone in un furgone per portarli sui cantieri, e semmai arrivava l’Ispettorato del Lavoro per i controlli c’era già chi aveva pagato perché quelli chiudessero non solo un occhio ma tre; non solo quelli davanti ma pure uno dietro se ce l’avevano”. E’ un altro collaboratore di giustizia, Salvatore Muto, a spiegare come a Parma e Piacenza “gli uomini della famiglia Grande Aracri prestano manodopera a basso costo a grosse imprese di costruzioni dove i muratori vengono assunti per tre giorni la settimana e poi licenziati. E poi riassunti. Obbligati però a lavorare sette giorni, anche la domenica. Pagati a metro e con il fuori busta. Senza misure di sicurezza. Con l’obbligo di restituire i soldi della Cassa Edile e del Tfr”.

Un altro settore che negli ultimi anni ha visto numerose proteste di lavoratori e lunghissime vertenze è il distretto modenese della lavorazione delle carni. Era il 24 luglio 2002 quando con sette colpi di pistola alla schiena venne freddato Ismail Jauadi, 28enne tunisino e socio lavoratore della DIMAC di Castelnuovo Rangone. “Chi lo ha ucciso è stato mosso dalla volontà di liberarsi di una persona che minacciava di rivelare alle autorità un presunto traffico illecito di contraffazione di prosciutti alquanto lucroso”, ha raccontato il PM Lucia Russo, titolare dell’inchiesta. Sempre a Castelnuovo, lo scorso anno, 75 soci lavoratori della Work Service e della Ilia D.A., entrambe cooperative appaltatrici della Castelfrigo denunciano forme di nuovo caporalato ponendo l’accento su tre aspetti: il mancato rispetto dei contratti lavorativi, la non genuinità degli appalti e i frequenti turn over che si verificano all’interno dei consigli direttivi delle cooperative appaltatrici.

Sono sempre i lavoratori a parlare della presenza in azienda di un vero e proprio caporale, identificato in Ilia Miltjian uno dei fondatori del Consorzio Job Service (di cui la della Work Service e la Ilia D.A fanno parte) e coinvolto nel settembre 2013 nell’operazione “Bisht” che ha visto 54 ordinanze di custodia cautelare in carcere, 48 corrieri arrestati e 162 persone indagate. Il reato contestato era quello di attività illecita di narcotraffico internazionale, per un giro di affari di milioni di euro.

Adesso la protesta si è invece spostata a San Damaso, davanti i cancelli del colosso Italpizza, dove da mesi lavoratrici e lavoratori stanno protestando contro condizioni di lavoro incentrate sullo sfruttamento. A loro va tutta la nostra solidarietà, perché è proprio grazie alle donne e agli uomini che insieme decidono di ribellarsi, che si può cambiare il finale di una storia. Affinchè nessuno sia schiavo e affinchè nessuno sia padrone.