Di Tiziano Soresina, pubblicato su “Gazzetta di Reggio” il 11/03/2020

È in corso un attacco frontale senza precedenti, sul piano investigativo e giudiziario, alla cosca Grande Aracri: accuse, sequestri, procedimenti che portano a ramificazioni della cosca cutrese in mezza Italia, dalla Calabria fino ad alcune regioni del Nord. E tutto ciò giunge in una fase storica in cui colui che è considerato dagli inquirenti il capoclan – cioè il 61enne Nicolino Grande Aracri – è in carcere da tempo con sulle spalle una definitiva condanna all’ergastolo (per l’omicidio del boss rivale Antonio Dragone nel 2004) e altri processi ancora da affrontare.

CONTATTO BERGAMASCO

L’ultima novità in ordine di tempo arriva da un processo in corso in tribunale a Bergamo (sul clamoroso rogo di 14 tir di un’azienda di trasporti, nell’estate 2016) in cui secondo la ricostruzione fatta in aula dai carabinieri gli esecutori materiali di quelle fiamme dolose sarebbero stati in contatto con un appartenente alla cosca Grande Aracri, incontrandolo a Reggio Emilia (agli atti un’intercettazione tramite una cimice in un’auto). E per l’Arma questo ’ndranghetista cutrese-reggiano aveva parlato di «un campo pieno di mine… non avete idea delle persone con cui avete a che fare…».

INFILTRAZIONI VENETE

Andando a ritroso, nel mese scorso – nell’aula bunker di Mestre dove si sta svolgendo l’udienza preliminare – il gup ha disposto 14 rinvii a giudizio, 34 riti abbreviati e 4 patteggiamenti (ancora da definire) sulla scia della complessa operazione antimafia “Camaleonte” che ha nel mirino dei magistrati d’accusa le infiltrazioni della cosca di Cutro nel tessuto imprenditoriale veneto dal 2013 al 2017: minacce, estorsioni, violenze aggravate dal metodo mafioso, false fatture e ricettazioni aggravate dall’aver favorito la ’ndrangheta.

LA DEMOLIZIONE

Sempre in febbraio doveva avvenire in terra calabrese – ma poi per una questione tecnica è stata rinviata ad aprile – la demolizione di edifici realizzati su un’area di inedificabilità assoluta perché noto sito archeologico (Capo Colonna) L’intimazione ai fini di sgombero ha raggiunto cinque membri della famiglia Grande Aracri (tre residenti a Cutro e due a Brescello).

COLLETTI BIANCHI

Rimanendo in Calabria, l’operazione “Thomas” ha aperto – all’inizio dell’anno – ulteriori inquietanti scenari sulla commistione tra criminalità, massoneria, economia e politica.

Tre professionisti sono finiti in manette (fra cui Alfonso Sestito, cardiologo calabrese 50enne con uno studio anche in via Mantegna a Reggio Emilia), per presunte ingerenze del clan Grande Aracri nelle attività del Comune di Cutro. Le accuse a vario titolo sono di associazione di tipo mafioso, estorsione, abuso d’ufficio, traffico di influenze illecite, omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale, accesso abusivo a un sistema informatico o telematico, reati tutti aggravati dalle modalità mafiose. A Nicolino Grande Aracri – in questi mesi a processo a Reggio Emilia per i due omicidi di Aemilia 1992 – è giunta in carcere a Opera (Milano) la sola informazione di garanzia. La cosca avrebbe messo le mani sul Comune di Cutro, «gestendo di fatto numerosissimi appalti e traendone diretto e cospicuo giovamento economico».

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