Le domande che ci siamo sempre fatti e che non abbiamo mai osato farci (perché facevamo fatica anche a capire le domande, figurarsi le risposte!).

  • Per quali reati sono stati condannati gli imputati di Black Monkey?

Ci sono essenzialmente cinque gruppi di reati che sono stati riconosciuti: l’associazione a delinquere di stampo mafioso, per cui sono stati condannati in nove; i reati di intestazione fittizia di beni (beni sostanzialmente riconducibili a Nicola Femia, ma intestati ai figli o agli amici); le estorsioni; la violazione della normativa in materia di gioco d’azzardo e le frodi informatiche ai danni dell’agenzia delle dogane e dei monopoli (e quindi la commercializzazione di schede contraffatte o la gestione di siti di poker online non autorizzati); l’accesso abusivo a sistemi informatici delle forze di polizia e la corruzione.

  • Come mai le condanne sono state così alte?

Le condanne più alte sono state quelle inflitte agli imputati condannati per 416 bis, e cioè per associazione a delinquere di stampo mafioso. In particolare, le pene più alte sono state quelle di Nicola Femia (ventisei anni e dieci mesi di carcere), Nicolas Femia (quindici anni) e Giannalberto Campagna (dodici anni e due mesi) e Guendalina Femia (dieci anni e tre mesi). Infatti il codice penale, tenuto conto della gravità di questo reato per la collettività e della pericolosità di chi fa parte dell’associazione mafiosa, prevede che le pene per chi vi partecipa vadano da un minimo di dieci anni ad un massimo di quindici anni. Tra l’altro, chi è stato condannato per 416bis è stato condannato anche per i reati che l’associazione mafiosa ha commesso (i cosiddetti reati-fine), e per questo le condanne sono state anche molto alte.

  • Qual è il motivo per cui sono stati condannati per reati di mafia?

Ancora questo non lo possiamo sapere. Dovremo attendere che i giudici del tribunale di Bologna depositino le motivazioni della sentenza. Questo avverrà entro sei mesi da quando la sentenza è stata depositata, e cioè il 22 febbraio 2017. Nel dispositivo infatti sono contenute solo le condanne e le assoluzioni, ma non sono spiegate le ragioni per cui gli imputati sono stati condannati o assolti. [in aggiornamento]

  • Perché sono stati in carcere all’inizio del processo e poi sono stati liberati?

Può succedere che durante le indagini, se gli indagati sono persone particolarmente pericolose, o c’è il rischio che i reati per cui si indaga vengano commessi nuovamente, o che durante le indagini vengano inquinate le prove, il pubblico ministero può chiedere al giudice per le indagini preliminari di disporre una misura cautelare. La misura cautelare può consistere nei casi più gravi negli arresti domiciliari o nella custodia in carcere. Ha comunque dei termini massimi di durata e appena non ci sono più le esigenze viene tolta o sostituita con una misura cautelare meno grave.

  • E perché ora che sono stati condannati, sono ancora liberi?

Le sentenze penali vengono eseguite solo quando sono definitive, e cioè sono state “controllate” prima dal giudice di appello e poi dalla corte di cassazione. Quindi tutte le pene a cui gli imputati sono stati condannati (quelle principali, cioè reclusione e multe, ma anche quelle accessorie, come le confische, le interdizioni etc) verranno materialmente eseguite solo al termine di tutto il procedimento (e non del primo grado di giudizio, che è il punto a cui siamo ora). È una garanzia del fatto che la libertà personale dei condannati venga limitata solo quando la condanna è passata al vaglio di tutti e tre i gradi di giudizio previsti dalla legge italiana.

  • Cosa succederà adesso?

I giudici si sono presi sei mesi per scrivere le motivazioni della condanna. Da quando depositeranno le motivazioni, gli imputati condannati hanno un termine entro il quale possono impugnare la sentenza, facendo appello. Molto probabilmente lo faranno, e cioè chiederanno ad un giudice di grado superiore (e cioè la Corte d’Appello di Bologna) di controllare la correttezza della decisione del giudice di primo grado (e cioè il Tribunale di Bologna). Può darsi quindi che i giudici d’appello prendano una decisione diversa da quella dei giudici del tribunale, per esempio riducendo le pene o escludendo l’associazione a delinquere di stampo mafioso.