di Cecilia Anesi, Giulio Rubino, Pavla Holcova e Jan Kuciak

Pubblicato su Il Dispaccio il 23 luglio 2018.

Il carbone è finito da tempo, e della frontiera non è rimasta che una vaga idea. Nelle verdi pianure intervallate da boschi nel nord-est del Belgio, lungo il confine con l’Olanda, le cittadine nate intorno alle miniere hanno cambiato faccia, e sono diventate rade distese di villette fra i campi. Dei tempi del Sillion Industrielle restano musei e sparsi ruderi industriali. Una zona tranquilla, una provincia sonnacchiosa che il 27 agosto di tre anni fa si è svegliata bruscamente ad una realtà che non sospettava minimamente.

Quel giorno Silvio Aquino, figlio di emigranti calabresi in Belgio, e sua moglie Silvia Liskova, slovacca, avevano lasciato da poco il garage della villa di famiglia a Maasmechelen, cittadina di 40mila anime appoggiata al fiume Mosa. La loro auto sfreccia tra gli alberi, quando di colpo una jaguar nera gli taglia la strada. Scendono tre uomini armati di mitra. Silvio ha una pistola, e spara per primo. Riesce a ferire uno degli assalitori, ma i sicari sono in troppi.

Muore crivellato di colpi, mentre la moglie Silvia viene lasciata vivere. E’ una vera e propria esecuzione. Inizia così la fine di una delle piu potenti famiglie di narcotrafficanti d’Europa. Quando Silvio viene ucciso dai sicari, la magistratura belga aveva già portato portato alla sbarra lui e due dei suoi fratelli, ma il processo era alle prime battute. Qualcuno aveva deciso che Silvio doveva tacere per sempre.

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