Di Salvo Palazzolo, pubblicato su “La Repubblica” il 14/09/2020

Negli anni Settanta e Ottanta, era uno degli uomini più potenti e ricchi della Sicilia: Ignazio Salvo gestiva con il cugino Nino le esattorie. “Entrambi sono uomini d’onore”, disse il pentito Tommaso Buscetta al giudice Giovanni Falcone, che poi arrestò i due imprenditori.

Oggi la storia della famiglia Salvo ritorna d’attualità, per un provvedimento del tribunale di Bologna che ha imposto il “controllo giudiziario” alla società “LG Costruzioni srl” di Reggio Emilia, gestita dai figli di Ignazio Salvo, Luigi e Maria (fra i soci c’è anche la vedova dell’imprenditore), che da anni ormai si sono trasferiti in Emilia Romagna. Un provvedimento, della durata di un anno, proposto dal procuratore di Bologna Giuseppe Amato e dal questore di Reggio Emilia, Giuseppe Ferrari.

Il “controllo giudiziario” prevede la nomina di un amministratore giudiziario che si affiancherà agli amministratori della società, per allontanare il rischio di infiltrazioni mafiose. Le indagini della polizia hanno accertato che la “LG Costruzioni”, impegnata nella realizzazione di ville di lusso, avrebbe intrattenuto rapporti di lavoro con società riconducibili a imprenditori di ‘Ndrangheta vicini al clan Grande Aracri di Cutro.

“Con riferimento alla sua genesi è il primo provvedimento a livello nazionale – dice Giuseppe Linares, direttore del Servizio centrale anticrimine della polizia di Stato – in quanto proposto all’organo giudicante in forma congiunta da un procuratore distrettuale e da un questore, dietro input e con il supporto investigativo del servizio centrale anticrimine del ministero dell’Interno”.

La “LG Costruzioni” aveva chiesto alla prefettura di Reggio Emilia il rinnovo dell’iscrizione nella locale “White list”. L’emergere di quelle relazioni d’affari, nell’attività edilizia, ha portato alla cancellazione della società dalla lista. E alla proposta di procuratore e questore, che passa al setaccio la storia di una famiglia. Ignazio Salvo fu ucciso il 17 settembre 1992 dai killer di Salvatore Riina. Una punizione, per non essersi impegnato abbastanza nell’aggiustare la sentenza della Cassazione sul maxiprocesso.

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