di Lirio Abbate. Pubblicato su L’Espresso il 15 gennaio 2019.

Estorsioni, usura, droga, prostituzione, omicidi. E fiumi di denaro cash. Per la prima volta le indagini fanno luce sugli affari italiani del boss Zhang Naizhong soprannominato “L’uomo nero”. Contro cui da pochi giorni è cominciato il processo.

Le auto di lusso si fermano una dopo l’altra davanti all’ingresso di un ristorante cinese a Prato. È sera. Dalle berline tirate a lucido sbucano uomini di bassa statura e robusti, magri e alti, eleganti o vestiti con abiti alla moda. Hanno tutti gli occhi a mandorla e uno dopo l’altro si infilano nel locale con passo svelto. Arrivano a pochi minuti di distanza l’uno dall’altro – sembra quasi fila indiana – ed entrano composti, in silenzio, puntando dritti al centro della sala del ristorante dove ad attenderli in piedi c’è un signore piccolo e magro, dai capelli corti e neri che indossa un abito scuro. E davanti a quest’uomo s’inchinano tutti con deferenza. Non pronunciano alcuna frase. È un segno di rispetto, anzi un omaggio a quest’uomo che chiamano “il capo”. Poi girano i tacchi, riprendono l’uscita del ristorante e vanno via a bordo delle loro auto.

All’anagrafe la persona al centro della sala si chiama Zhang Naizhong, detto anche “L’uomo nero”. Ha 58 anni, è nato nello Zhejiang, provincia orientale costiera della Cina che ha stretti legami con il nostro Paese: lo Zhejiang meridionale e in particolare, la città-prefettura di Wenzhou e i distretti di Qingtian e Wencheng sono la terra d’origine del 90 per cento delle comunità di immigrati cinesi in Italia e in Europa.

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