A voi la terza puntata di #microfonoinmano, la nuova rubrica di Mafie sotto casa: l’intervista a Massimo Mezzetti, assessore alla cultura, politiche giovanili e politiche per la legalità in Emilia – Romagna.

Processo Aemilia: quanto è importante per la Regione Emilia-Romagna? Il processo ha aumentato la conoscenza del fenomeno mafioso?

Come Regione abbiamo investito più di un milione di euro per assicurarci che il processo si svolgesse sul nostro territorio. Era importante che non ci fosse una rimozione, anche fisica, del problema che abbiamo in casa. L’inchiesta e il conseguente processo Aemilia sono stati molto importanti per questa regione, per il contributo dato a squarciare un velo di silenzi e rimozioni, superficialità e sottovalutazioni che hanno per anni attraversato il corpo della società emiliano-romagnola. Amministratori, partiti ma anche organi inquirenti e giudiziari hanno ignorato per anni i segnali d’allarme lanciati da organizzazioni sindacali, alcuni amministratori e associazioni antimafia. Negli anni ’90, quando le Procure di questa regione erano impegnate per l’80% della loro attività ad occuparsi di reati connessi alla legge Bossi-Fini, sono cresciute e si sono ingrassate le organizzazioni mafiose, ‘ndranghetiste e camorriste che non a caso mandavano qui i loro boss emergenti o luogotenenti a curare gli affari delle famiglie in quasi totale tranquillità.
Il processo Aemilia sta squadernando davanti a noi dinamiche, modi, tempi e protagonisti di un pezzo di questa storia. Un pezzo significativo ma ancora parziale. Ma finalmente nessuno potrà più dire “non sapevo”, “non immaginavo”. Oggi, chi, ricoprendo ruoli pubblici di responsabilità, dovesse affermare una cosa del genere sarebbe oggettivamente complice.
Voglio però aggiungere che l’arringa dell’accusa, condotta dal PM dott. Mescolini, evidenzia con forza come in questa regione le organizzazioni mafiose hanno accresciuto i loro affari godendo di collusioni o complicità di una parte del sistema di imprese e di professionisti locali. Laddove, in vaste aree del Paese, il patto tra mafie e politica serviva a penetrare nel tessuto economico, qui le mafie hanno scelto di andare direttamente all’obiettivo. Forse perché quasi sempre hanno trovato un sistema amministrativo e politico di governo impermeabile ai tentativi di coinvolgerli. Quasi sempre ma non sempre.

A livello istituzionale cosa è cambiato alla luce di Aemilia?

È cresciuta una consapevolezza diffusa fra gli amministratori. Si studia di più, ci si attrezza per avere le lenti giuste per leggere e interpretare fenomeni che non sono sempre di facile lettura. Ci siamo dati una nuova legislazione regionale (il Testo Unico per la legalità) che affronta il tema del governo unitario delle norme e degli strumenti per intervenire in materia di appalti, controlli, disciplina dei lavori pubblici, contrasto all’usura e al gioco d’azzardo, gestione dei beni confiscati. È cresciuta la vigilanza e si sta molto più attenti. C’è ancora molto da fare ma il clima è cambiato in meglio. Anni fa, quando denunciavi le infiltrazioni mafiose sul nostro territorio ti consideravano un “tipo strano”.

Secondo lei l’opinione pubblica è riuscita a captare l’importanza di questo maxi-processo?

La mia impressione è che il livello di consapevolezza è cresciuto anche nell’opinione pubblica, ma a macchia di leopardo sul territorio. Questo anche a seguito del fatto che non ovunque la stampa e gli organi d’informazione locale hanno seguito e seguono queste vicende con la dovuta continuità e ricchezza d’informazione.

La gente è  più consapevole della presenza della criminalità organizzata in Regione?

Vale quanto detto nella precedente risposta. Questa consapevolezza è cresciuta, non so però ancora se in modo sufficiente. Comunque, in questi ultimi anni abbiamo messo in campo diverse iniziative sostenute dai fondi regionali e dalle amministrazioni locali, in particolare rivolte agli studenti delle scuole di ogni ordine e grado che, grazie all’impegno anche di dirigenti scolastici e docenti sensibili e attenti, hanno contribuito a diffondere una cultura della legalità e della cittadinanza responsabile.

Dopo la bocciatura dell’idea di una sede a Bologna per la gestione dei Beni Confiscati, la Regione Emilia-Romagna come intendeincrementare la possibilità di gestione dei Beni Confiscati alle mafie?  Com’è il rapporto con il Prefetto Ennio Mario Sodano a capo dell’Agenzia Nazionale Beni Sequestrati e Confiscati?

Avevamo chiesto una sede anche qui. In sede di discussione parlamentare sul Nuovo Codice Nazionale Antimafia la proposta è stata bocciata. Devo però dire che l’ottimo rapporto con il nuovo direttore dell’Agenzia Nazionale Beni  Sequestrati e Confiscati, il Prefetto Sodano, già Prefetto di Bologna, ci consente in parte di sopperire a questa mancanza. Infatti dal momento del suo insediamento abbiamo registrato un cambio di passo notevole. Certo, nel contesto di limitazione oggettive che non derivano da una sua diretta responsabilità ma di chi dovrebbe dotare l’Agenzia di risorse e personale necessario e sufficiente a svolgere al meglio l’enorme mole di lavoro.

Se l’intervista ti è piaciuta, non tenerla per te: condividila con le persone a cui pensi possa interessare!

E non perderti l’appuntamento del prossimo mese con #microfonoinmano, le interviste di Mafie sotto casa 🙂