Dalla lettura della relazione della Commissione parlamentare antimafia (trovi qui la versione integrale), proponiamo un approfondimento sul capitolo dedicato al radicamento mafioso al Nord, secondo la strategia che la Commissione ha chiamato legge dei fortini.

“Quando si ammette l’esistenza della mafia nel Nord Italia si tende a spiegarla con meccanismi quasi automatici, a loro modo ineluttabili. Le organizzazioni mafiose, si dice, dispongono di liquidità eccedenti le possibilità di investimento offerte dalle economie delle proprie regioni di origine. Dunque cercano sbocco altrove, nelle realtà più produttive e dinamiche del Paese, per investire le proprie ricchezze in Borsa, o per approfittare delle possibilità di movimento e di speculazione assicurate dalle moderne architetture finanziarie. E dove altro dovrebbero andare se non nelle grandi capitali finanziarie, immobiliari e commerciali del nord?”

La commissione parlamentare antimafia apre con questo interrogativo il capitolo della sua relazione conclusiva dedicato alla colonizzazione mafiosa del nord.

Sul tema, la commissione offre una chiave di lettura innovativa e convincente. Fino ad ora, infatti, abbiamo sempre sentito dire che i clan mafiosi sono emigrati al nord per riciclare nelle grandi metropoli: Bologna, Milano, Verona, Torino.
Questa visione, avverte la commissione antimafia, porta a leggere il fenomeno in modo distorto e limitato, soprattutto nel caso della ‘ndrangheta.

“L’avanzata dei clan calabresi”, infatti, “non ha seguito infatti tanto la legge delle metropoli del riciclaggio, ha seguito soprattutto quella che può essere chiamata la “legge dei fortini”.

Osservando la diffusione ‘ndranghetista nell’Italia settentrionale, emerge un quadro del tutto diverso: la ‘ndrangheta

“si è affermata a macchia di leopardo con una particolare predilezione per i comuni minori”.

La commissione individua alcuni elementi che rendono i piccoli comuni un bersaglio facile del radicamento mafioso:
– sono più facilmente espugnabili e controllabili
– esprimono normalmente basse capacità di resistenza alla colonizzazione
– una volta espugnati, svolgono una funzione di capisaldi strategici distribuiti sul territorio.
In questo senso la commissione antimafia parla di “legge dei fortini”: i comuni “occupati” dalla ndrangheta sono uno strumento di consolidamento degli interessi mafiosi e di radicamento stabile, proprio come avviene in Calabria (anche se forse non ancora con la stessa intensità storico-sociale).

Basta pensare a Fino Mornasco, comune di quasi 10 mila abitanti in provincia di Como, ove si realizza una fortissima influenza della comunità di Giffone, provincia di Catanzaro, dove negli anni Novanta era stata rilevata una locale di ‘ndrangheta. Sulla base delle risultanze dell’operazione “Crimine Infinito” del 2010, questa locale sembrava non essere più operante, ma le indagini successive hanno invece confermato la presenza mafiosa, rivelando un radicamento continuativo e stabile, anche dal punto di vista generazionale.

I centri minori diventano dunque postazioni fisse nel cammino della conquista, alla stregua delle stazioni di posta ai tempi delle diligenze, quartieri generali pronti ad accogliere le ritirate, trampolini di lancio per nuove avventure, snodi per gettare reti più ampie. Nella mappa in continuo aggiornamento dell’avanzata ‘ndranghetista, svolgono il ruolo delle casematte in una guerra a bassa intensità, che è contemporaneamente di movimento e di posizione.

Sono anche i luoghi in cui si spingono più avanti le forme della colonizzazione, e se ne sperimentano di nuove. Non è casuale che siano proprio i comuni più piccoli quelli in cui si sono verificati i più numerosi attacchi alle libertà politiche dopo quelli alle libertà economiche.

L’altro esempio offerto dalla commissione antimafia è, neanche a dirlo, Brescello.
Brescello, comune di 5.500 abitanti in provincia di Reggio Emilia, colonizzato dal clan cutrese Grande Aracri è stato il primo comune sciolto per mafia in Emilia Romagna.

«In questo caso è visibile – si legge nella relazione – come Brescello abbia fatto da casamatta in un processo di conquista progressivo di tutta un’area di confine tra Emilia e Lombardia, che ha interessato in modo impressionante, oltre la provincia di Reggio Emilia, anche la provincia di Mantova».

Comuni che diventano quindi come veri e propri fortini, che operano in rete per muovere consensi elettorali anche fuori dai propri confini o per fornire candidati in comuni di cui avviare la conquista.
Mentre l’opinione pubblica discute della forza finanziaria della ‘ndrangheta, aggiunge la Commissione, il concreto sviluppo della forza dei clan segue quindi la logica dei fortini: da lì si fanno varare piani di governo del territorio per le proprie imprese, si ottengono benevolenze in agenzie bancarie, si trovano professionisti disponibili a operare nell’economia illegale, si raccolgono voti per condizionare le amministrazione regionali e scalare gli interessi.

La conferma della tesi sostenuta dalla Commissione antimafia si trova nelle statistiche sui comuni che sono stati interessati dal procedimento di commissariamento per infiltrazioni mafiose:

  • Seregno (MB) 44.962 ab.
  • Sedriano (MI) 12.099 ab.
  • Rivarolo canavese (TO) 12.603 ab.
  • Leinì (TO) 16.478 ab.
  • Chivasso (TO) 26.921 ab.
  • Bardonecchia (TO) 3.173 ab.
  • Lavagna (GE) 12.692 ab.
  • Ventimiglia (IM) 24.178 ab.
  • Diano marina (IM) 5.972 ab.
  • Bordighera (IM) 10.454 ab.
  • Brescello (RE) 5.621 ab.
  • Finale emilia (MO) 15.597 ab.

La media della popolazione è poco sopra ai 15 000 abitanti per comune, confermando tra l’altro la media nazionale (per approfondire, qui le mappe interattive e le tabelle di Avviso Pubblico e qui una tesi di laurea sul commissariamento degli enti locali).

La collocazione dei comuni citati nell’elenco sopra, sul sito di Avviso Pubblico.

A margine di questa analisi, alcune domande si pongono: i piccoli comuni non dovrebbero essere quelli dove meglio i cittadini hanno consapevolezza e controllo su quanto accade tra le mura del municipio? Lo sforzo per rendere l’amministrazione “trasparente” non ha dato al cittadino attento (all’associazionismo attento, ai sindacati attenti, alle associazioni di categorie attente, ai professionisti attenti etc) ancora più strumenti di monitoraggio civico?

Cosa è mancato nella cura del bene comune, cura che dovrebbe essere tanto più immediata e precisa quanto più conosco il mio comune come le mie tasche? È possibile perdere a tal punto il controllo del proprio “cortile di casa”, da lasciare che a prendere le redini della gestione della cosa comune siano le mafie?