Se c’è una mafia che negli ultimi mesi sembra aver scalato tutte le classifiche, è proprio quella che tutti i giornali, dalla cronaca locale alle testate online, chiamano mafia nigeriana.
Gli articoli usciti solo nell’ultimo mese sul tema non si contano, e ciononostante le analisi non sembrano delle più attente. Una per tutte, quella comparsa il 2 gennaio sul Secolo d’Italia, che titola “Mafia nigeriana, centomila affiliati in Italia: ora è allarme serio. Di buonismo si può morire”.

I dati però non tornano: stando alla relazione del Ministero del Lavoro, la comunità nigeriana nel 2017 contava 93.000 persone. E qui viene la prima perplessità, che riguarda la correttezza dei dati diffusi, che tendono a confondere il fenomeno dell’immigrazione con quello della criminalità (organizzata o comune che sia) di origine straniera.

Su questa scia, sono comparsi diversi articoli in cui la mafia nigeriana viene tirata in causa ogni volta che si fa la cronaca di un reato (a volte solo di un sospetto di reato) commesso da persone di origine africana. La storia che se vieni da una certa area geografica allora sei mafioso l’abbiamo già sentita, e non ci è piaciuta molto.

Non sono mancate le soluzioni a buon mercato proposte da alcuni politici. La settimana scorsa Giorgia Meloni durante il question time alla Camera dei Deputati ha parlato di “una delle organizzazioni criminali più pericolose e feroci del mondo”, e quasi veniva da pensare che qualcuno in Parlamento si stesse finalmente preoccupando di ‘ndrangheta. La Meloni in realtà stava chiedendo al governo di “riprendere il controllo del proprio territorio”, mandando l’esercito a Castelvolturno per sconfiggere la mafia nigeriana. Una strategia antimafia non del tutto convincente, quella di inviare l’esercito.

C’è stato chi ha proposto la schedatura di tutti i nigeriani. Chissà che effetto farebbe agli elettori la proposta di mandare l’esercito in Emilia Romagna o di schedare tutti gli abitanti della Valle d’Aosta o della Liguria per fare piazza pulita della ‘ndrangheta.

A detta della Direzione Investigativa Antimafia, il problema è molto più complesso. Nell’ultima relazione (secondo semestre 2017), si legge: “Lo scenario criminale nazionale continua ad essere segnato da una forte interazione tra sodalizi italiani e di matrice straniera, assumendo connotazioni particolari a seconda dell’area geografica in cui tali sinergie vengono a realizzarsi.
Nelle regioni del sud Italia, i gruppi stranieri agiscono, tendenzialmente, con l’assenso delle organizzazioni mafiose autoctone mentre, nelle restanti regioni, tendono a ritagliarsi spazi di autonomia operativa, che sfociano anche in forme di collaborazione su piani quasi paritetici”.

A leggere queste cose sembra che il problema delle mafie straniere in Italia non sia esattamente un problema di immigrazione, che il “buonismo” non c’entri niente e che per capire  questa situazione non sia per niente utile banalizzarla e cavalcarla a proprio piacere per secondi fini politici.

 

[Nella foto, la rappresentazione della mafia nigeriana in un articolo apparso su primatonazionale.it, che conclude scrivendo: “Lo stato italiano ha agito seguendo i dettami della retorica buonista: costruiamo ponti e non muri. I risultati sono sotto i nostri occhi.”]