Pubblicato su “irpimedia.irpi.eu” il 17/06/2020

Avevano il quartier generale in un bar di Via Resia, l’ultima periferia costruita a Bolzano negli anni ‘70. Un luogo di edilizia popolare, lontano dagli sfarzi dei famosi portici dai negozi scintillanti, che bene rappresentano la ricchezza del Sudtirolo. Un luogo dimesso, eppure strategico, vicino allo svincolo autostradale per il Brennero che da lì porta dritti in Austria e poi fino al sud della Germania, quella Baviera dove la ‘ndrangheta ha ormai costruito una presenza stabile. È dall’anonimo bar Coffee Break che Mario Sergi gestiva tanto i cappuccini quanto una locale di ‘ndrangheta. Questa l’accusa della Direzione Distrettuale Antimafia di Trento che, con la Squadra Mobile, ha arrestato 20 persone tra il Trentino Alto Adige, il Veneto, e Platì (Calabria) lo scorso 9 giugno.

Un fiorente traffico di cocaina, che imbiancava l’Alto-Adige con circa cinque chili al mese, l’attività principale del gruppo di Sergi. I narcos calabresi la acquistavano a buon prezzo, tra i 29 e i 32mila euro al chilo. Un business che – se confermato – faceva di loro una vera e propria impresa, capace di fare concorrenza alle grandi aziende lecite sudtirolesi, perchè tolti i costi e considerato il prezzo medio della cocaina al grammo la holding “Coffee Break” poteva contare su profitti tra i 150 e i 300mila euro al mese. Un “fatturato” esentasse che supera di gran lunga quello delle piccole e medie imprese sudtirolesi che si aggirano sui 38.000 euro al mese.

Un fiume di cocaina per una piccola città di 100mila abitanti, ma non senza costi sociali. Parliamo di una regione già colpita duramente negli anni ‘80 dalla piaga dell’eroina, e che nell’ultimo decennio ha visto un preoccupante nuovo aumento delle tossicodipendenze. Un contesto in cui, secondo gli inquirenti e il giudice per le indagini preliminari Marco La Ganga, si sono inseriti alla perfezione i narcos aspromontani. Li ritiene pericolosi trafficanti di droga, affiliati alla ‘ndrangheta, e in grado di controllare il territorio altoatesino con la forza dell’intimidazione mafiosa e delle armi.

Dall’Aspromonte all’Alto-Adige, la genesi di una nuova “locale” di ‘ndrangheta

Mario Sergi nasce a Delianuova, paesino arroccato sul lato tirrenico dell’Aspromonte e che cade sotto il controllo delle ‘ndrine Italiano ed Alvaro. Arrivato a Bolzano già negli anni ‘80 si dedica a piccole attività criminali, ma ha un sogno: mettere in piedi una solida struttura criminale tra la Calabria e Bolzano. Un collaboratore di giustizia racconta di come già negli anni ‘80 Sergi avesse trascorso un periodo in carcere assieme a un cugino arrestato con dell’eroina alla stazione ferroviaria di Bolzano. E proprio in carcere Sergi avrebbe elaborato il piano per allargare il suo giro, e arrivare a gestire il traffico di eroina dell’intera provincia altoatesina.

Bolzano aveva una vasta comunità migrante calabrese, alcuni erano giunti da poco in cerca di lavoro al nord, altri erano arrivati durante il processo di italianizzazione voluto da Mussolini. E come sempre, anche la ‘ndrangheta aveva sfruttato il flusso migratorio dei propri conterranei, un po’ per dare meno nell’occhio, un po’ per assicurarsi una prima base economica con le estorsioni. Ma all’epoca si trattava di “cani sciolti”, trafficanti di eroina per lo più in proprio, senza un vero piano e senza un comando.

La svolta arriva a metà anni ‘80 da Platì: Francesco Perre, alias U Gulera, viene “attivato” a Bolzano da due colonne portanti della ‘ndrangheta dell’epoca: Domenico Agresta e Pasqualino Marando. Così racconta agli inquirenti di Torino il collaboratore Domenico Agresta detto “Micu Mc Donald”, nipote dell’omonimo boss, e divenuto il più giovane pentito della ‘ndrangheta. Era cresciuto con i racconti di come a fine anni ‘80 i suoi zii Domenico Agresta e Pasquale Marando reggessero la “locale” (unità territoriale di ‘ndrangheta) di Volpiano, in provincia di Torino, e da lì controllassero la più moderna e grande holding del narcotraffico dell’epoca.

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