Dopo aver letto le 1011 pagine delle motivazioni della sentenza d’appello del rito ordinario del processo Aemilia abbiamo deciso, in questo editoriale, di raccontare quello che il giudice ha descritto come “borghesia mafiosa” a servizio della “holding criminale” emiliana.

Sono questi i due termini attraverso i quali proveremo a spiegare non solo chi sono i personaggi che con il loro contributo hanno permesso alla cosca Grande Aracri di rafforzare il proprio potere in regione ma, al contempo, capire quali sono le motivazioni che hanno portato il giudice a condannarli.

 – IL PROCESSO –
Gli imputati. Sono 218 gli imputati del processo Aemilia. 71 di loro hanno optato per il rito abbreviato, gli altri 147 si stanno invece attualmente sottoponendo al rito ordinario presso il tribunale di Reggio Emilia. Oltre all’associazione a delinquere di stampo mafioso, vengono contestati reati come estorsione, usura, incendio, impiego di denaro di provenienza illecita, falsa fatturazione, bancarotta fraudolenta, reati in materia di armi, stupefacenti e numerose ipotesi di trasferimento fraudolento di valori.

Le fonti di prova. L’impianto accusatorio del processo Aemilia, sia per quanto riguarda il rito abbreviato che quello ordinario, si basa su fonti di prova come intercettazioni telefoniche e ambientali, servizi di osservazione, pedinamento e controllo, perquisizioni e sequestri, accertamenti bancari e finanziari, verbali di dichiarazioni rese da persone informate sui fatti e altre prove documentali. Importanti anche le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.

Il riassunto delle puntate precedenti. La sentenza di primo grado del rito abbreviato viene pronunciata il 22 aprile 2016 dal GUP Francesca Zavaglia e le motivazioni vengono depositate il 7 ottobre dello stesso anno: 57 le condanne, 13 le assoluzioni, 1 prescrizione. Il secondo grado di giudizio del rito abbreviato si è svolto, invece, presso la Terza sezione penale della Corte d’appello di Bologna, presieduta da Cecilia Calandra. La sentenza viene pronunciata il 12 settembre 2017 e le motivazioni vengono depositate il 26 febbraio 2018. In questo caso gli imputati arrivati in appello sono 57: 50 le condanne, 6 le assoluzioni, 1 prescrizione.

 – UNA HOLDING CRIMINALE AUTONOMA –
All’interno delle motivazioni scritte dal giudice Calandra viene ricostruita la storia criminale della cosca emiliana che ha inizio con una “colonizzazione” della regione negli anni 80 e 90 con l’arrivo del boss Antonio Dragone. In quel periodo

“i reati venivano commessi secondo gli schemi criminali tipici della terra d’origine e soprattutto ai danni dei calabresi residenti in Emilia, più facilmente assoggettabili”.

In seguito ai primi arresti e ai primi omicidi si determinò invece la necessità di una riorganizzazione interna attraverso la riassegnazione di ruoli.

“La leadership assunta da Nicolino Grande Aracri- scrive il giudice- si manifesta diverso rispetto a quello accentratore e platealmente violento utilizzato da Dragone. All’attività di traffico di stupefacenti, estorsione e usura si affianca l’utilizzo del sistema delle false fatturazione che consentiva di inserirsi senza eclatanti episodi di sangue nella realtà emiliana”.

Il passo in avanti compiuto dal processo Aemilia, rispetto ai precedenti procedimenti penali, é quello di aver posto in risalto altre figure dirigenziali, come ad esempio quelle di Nicolino Sarcone (considerato nel processo Edilpiovra come semplice luogotenente di Grande Aracri) e di Francesco Lamanna (considerato nel processo Grande Drago come la longa manus di Grande Aracri nel piacentino). A loro si affiancano promotori e organizzatori come Alfonso Diletto e Romolo Villirillo. Le indagini prima e il processo poi hanno inoltre fatto emerge la

“nuova categoria di ideatori e finanziatori della cosca a cui spetta il ruolo di gestire gli affari di maggior importanza economica. Viene dunque ampliato il raggio di azione con un progressivo innalzamento di livello dell’associazione attraverso il sempre più ampio e professionale inserimento dei sodali nel mondo degli affari sino a condurre alla formazione di una vera e propria holding criminale di rilievo internazionale”.

Un nuovo modulo operativo, dunque, che permette alle imprese gestite dai mafiosi di operare contemporaneamente nell’ambito dello stesso cantiere perché, come provato dalle intercettazioni, “tutti dobbiamo mangiare”. Il processo Aemilia ha in questo modo posto in luce il volto prettamente imprenditoriale e per questo più insidioso della ‘ndrangheta emiliana:

“Un gruppo operante nella nostra regione le cui manifestazioni si sono prodotte in ambiti criminali lontani e diversi da quelli tradizionali come il traffico di stupefacenti per i quali la criminalità organizzata calabrese è divenuta ormai egemone su scala nazionale e non solo” scrive il giudice.

In merito alla ormai provata autonomia della cosca emiliana, infine, sono emblematiche le dichiarazioni dei pentiti Giuseppe Vrenna e Francesco Oliverio, i quali hanno raccontato di come Nicolino Grande Aracri

“pur costituendo il capo di Cutro ed un ineludibile punto di riferimento anche della consorteria costituitasi al nord, non doveva essere consultato dai sodali emiliani prima di intraprendere un nuovo affare o una nuova azione. Non era da lui che dipendeva l’ideazione e la decisione di quali imprese assoggettare in Emilia- scrive il giudice-. Pur mantenendo un forte collegamento con la casa madre e con il capo Nicolino Grande Aracri, i sodali emiliani evidenziano piena indipendenza per le scelte operative ed affaristiche da trattare. La ricerca costante di rapporti con il mondo politico e con esponenti del mondo dell’informazione e della pubblica amministrazione rappresenta un passaggio fondamentale nella dimostrazione dell’autonomia operativa della cellula di ‘ndrangheta emiliana”.