Di Giuseppe Pietrobelli, pubblicato su “Il fatto Quotidiano” il 10.02.2020

Si profila un secondo maxi-processo per mafia in Veneto. Dopo i 69 tra rinvii a giudizio e riti alternativi per le infiltrazioni della camorra a Eraclea e nel Veneto Orientale, tocca ora alla ‘ndrangheta. Un anno fa un blitz della Procura antimafia di Venezia aveva portato in carcere o ai domiciliari 33 persone, ma in totale gli indagati erano 54. Le accuse erano legate alle attività di un’organizzazione criminale collegata alla cosca Grande Aracri della ‘Ndrangheta che agiva tra le province di Venezia, Padova e Vicenza. Le ipotesi di reato vanno dalle violenze private alle estorsioni, dalle false fatturazioni al riciclaggio di denaro sporco proveniente dalla Calabria. A tempo di record si è conclusa nell’aula bunker di Mestre l’udienza preliminare del giudice Francesca Zancan, che ha accolto le richieste del pm Paola Tonini. Nessun proscioglimento, tutti a processo. I rinvii a giudizio sono stati 14, per 34 imputati accesso ai riti abbreviati, mentre quattro di loro patteggeranno. A marzo al via il processo con rito ordinario. A maggio, quelli abbreviati di fronte al giudice veneziano Luca Marini.

Tra i principali imputati spiccano i fratelli Michele e Francesco Bolognino. Il primo è considerato il promotore dell’organizzazione, condannato a 37 anni di carcere a Bologna nel processo Aemilia, dal 2015 è in regime di 41bis. La ‘ndrangheta, dopo le chieste emiliane, aveva spostato l’asse delle attività verso il Veneto puntando alle aziende. È per questo che tra gli imputati troviamo alcuni imprenditori come Leonardo Lovo, di Campagna Lupia, Federico Schiavon di Padova e Adriano Biasion di Piove di Sacco. Sono accusati di aver emesso un gran numero di false fatture che servivano al riciclaggio del denaro sporco. Nell’elenco c’è anche il commercialista Donato Clausi. Hanno scelto il patteggiamento due impresari veneziani, Eros Carraro e Massimo Nalesso, nonché il padovano Roberto Rizzo, con pene che variano da un anno e 4 mesi a un anno e 7 mesi, coperte dalla sospensione condizionale e previo risarcimento dell’Agenzia delle Entrate con somme che vanno da 20 ai 90 mila euro. Dovrebbe patteggiare anche il collaboratore Giuseppe Giglio, la cui pena però sarà più pesante, in continuazione con un’altra condanna. Nel processo si sono costituiti parte civile la Regione Veneto, la presidenza del Consiglio dei Ministri, l’Agenzia delle Entrate e il Ministero dell’Interno. L’operazione della Dda fu battezzata “Camaleonte” e ha svelato un sistema di intimidazioni a imprenditori in difficoltà legato alla ‘ndrina Grande Aracri.

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