di Alessia Candito, pubblicato su Lacnews24 il 07/07/2020

Fino a che punto «l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro»? Quanto davvero «la sovranità appartiene al popolo»? Non si tratta di materia per politologi, filosofi della politica o sedicenti tali. «I fatti sono la cosa più ostinata del mondo» e oggi è la ricostruzione giudiziaria, basata anche su sentenze ormai definitive, dati acquisiti, avvenimenti storici, a raccontare che l’Italia è stata – e forse è ancora – una democrazia scippata. Mutilata. Piegata all’interesse, al potere, al volere di pochi, a dispetto delle volontà e del benessere di molti. Vittime perché lo hanno subito, in parte forse complici perché non hanno reagito.

Stragi risposta ad un campanello di allarme

Di certo – e il dato emerge con prepotenza nella requisitoria del processo ‘Ndrangheta stragista, che del lungo dibattimento trae le conclusioni – c’è un momento in cui la storia d’Italia cambia. O quanto meno viene distolta dall’esito a cui il naturale corso degli eventi sembra portare. E non si tratta dei tre attentati calabresi contro i carabinieri, incluso quello costato la vita ai carabinieri Fava e Garofalo, per cui oggi il mammasantissima di Melicucco, Rocco Filippone, e il boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano, sono a processo come mandanti. Quegli omicidi e quei tentati omicidi sono stati la risposta ad un evento che per un intero sistema eversivo di potere – che include componenti mafiose e contamina altri poteri che in ragione di quel rapporto diventano alta mafia – è stato un campanello d’allarme.

Quelle amministrative che hanno accelerato gli eventi

«Nell’autunno ’93 – spiega il procuratore aggiunto Lombardo- il Pds stravinto le amministrative. Occhetto si sentiva già presidente del Consiglio». La storia però non è un processo lineare. E non tutti gli attori remano per lo stesso verso. «Quelle amministrative hanno dimostrato che il “rischio comunista” non era finito – sottolinea Lombardo – e quando il sistema ha capito che il rischio era alto, tra il novembre e il gennaio di quell’anno la storia politica e partitica si incontra con le esigenze dell’alta mafia, e la storia d’Italia cambia».

Un sistema che si rifiuta di morireIl rischio era che a governare fossero interlocutori sconosciuti, soggetti che per evidenti ragioni storiche nulla avevano a che fare con il blocco di potere, composto da mafie, pezzi di servizi di area Gladio, massoneria legata alla P2 ed eversione nera, coagulatosi all’ombra del muro di Berlino. E che esattamente in quegli anni ha rischiato di liquefarsi perché erano venute meno le condizioni strategiche, economiche e politiche che lo avevano saldato. Ma ha resistito. Con le bombe e con una mutata strategia politica.

Crocevia anni Novanta

Ecco perché gli anni Novanta sono un momento storico – spiega il procuratore aggiunto Lombardo – da ricostruire fino in fondo per capire perché la ‘ndrangheta abbia avuto la necessità – e non solo la volontà – di entrar da protagonista in quella stagione, perché abbia delegato un uomo dei Piromalli, Rocco Santo Filippone alla gestione degli attentati calabresi contro i carabinieri in cui quella decisione si è cristallizzata, perché e in che misura anche il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano sia pienamente responsabile anche di quei tre attentati calabresi.

Continua la lettura qui.