In dieci punti, la nostra sintesi sull’operazione Grimilde.

1. L’operazione: L’inchiesta Grimilde scoppia il 26 giugno. Il responsabile della Direzione centrale anticrimine (Dac) della Polizia Francesco Messina, durante la conferenza stampa, ha detto: “Abbiamo chiamato l’operazione ‘Grimilde’, con riferimento alla sindrome di Grimilde che non ammette le sue imperfezioni e non si guarda allo specchio“. “Il sodalizio ndranghetistico locale- si legge nell’ordinanza- presenta la fisionomia di una struttura criminale moderna con una una dimensione prettamente affaristica. Il gruppo emiliano è risultato essere in rapporti con quei poteri (politica, informazione, forze dell’ordine) che ne dovrebbero contrastare l’esistenza. Si tratta di un’associazione arricchita dalla presenza di imprenditori mafiosi in grado di raffinare le strategie, aumentare la disponibilità di denaro, la potenza e finanche offrire alla congrega un vestito più presentabile in modo tale da potersi presentare in ambienti che in precedenza apparivano immuni”.

2. I numeri: 76 le persone indagate, 16 quelle arrestate, 13 delle quali accusate di associazione a delinquere di stampo mafioso. 67 le perquisizioni effettuate. 16 le aziende monitorate. 300 gli uomini impiegati nell’operazione e appartenenti alla Polizia di Stato di Bologna in collaborazione con quella di Parma, Reggio Emilia, Piacenza e con il coordinamento del Servizio Centrale Operativo.

3. I reati contestati: associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, tentata estorsione, trasferimento fraudolento di valori, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, danneggiamento, truffa aggravata dalle finalità mafiose.

4. Il territorio interessato: le province di Reggio Emilia, Piacenza, Parma e Modena.

5. I collaboratori di giustizia: Importanti le dichiarazioni di cinque pentiti: Antonio Valerio, Giuseppe Giglio, Angelo Salvatore Cortese, Salvatore Muto, Giuseppe Liperoti, quest’ultimo genero di Antonio Grande Aracri, fratello del boss Nicolino.

6. La struttura del gruppo: All’interno del sodalizio operano con ruolo di vertice non uno ma alcuni soggetti ciascuno reggente su un determinato territorio. In questo caso, Francesco Grande Aracri (fratello del boss Nicolino) e il figlio Salvatore vengono individuati dagli inquirenti come promotori, capi e organizzatori del clan. A latere, invece, l’altro figlio di Francesco, Paolo Grande Aracri, il quale avrebbe “agito in sinergia con i vertici”.

7. Il professionista: Leonardo Villirillo viene ritenuto dagli inquirenti come il contabile e il commercialista della cosca. “Era lui a gestire gli investimenti e a intestare i beni dei Grande Aracri a prestanome”.

8. Il caporalato: Tra i reati contestati c’è anche quello di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Gli indagati sono Salvatore e Francesco Grande Aracri, Mario Timpano e Davide Gaspari, accusati di “aver reclutato manodopera allo scopo di destinarla al lavoro in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori”. I fatti presi in esame fanno riferimento al 2017, quando si aprono dei cantieri in Belgio, a Bruxelles, per la costruzione di 350 nuovi appartamenti. Titolare dei lavori è una società di costruzione albanesi. I lavoratori, formalmente assunti da una impresa di Firenze (rivelatasi in seguito un semplice paravento), venivano letteralmente sfruttati e sottopagati. Scrivono gli inquirenti: “i quattro indagati hanno agito come intermediari fruttando la manodopera reclutata attraverso la totale o mancata corresponsione di retribuzioni, il mancato pagamento del vitto, dei festivi e dello straordinario effettuato e il mancato versamento dell’indennità di trasferta all’estero. Le modalità di pagamento avevano luogo in contanti o tramite sistema Western Union su carte intestate a soggetti vicini ai Grande Aracri”. Due gli esempi citati dagli inquirenti: “Francesco Sciano riceveva un compenso di 675 euro dopo aver lavorato 100 ore. Samir Bahrini lavorava oltre dieci ore al giorno e riceveva come corrispettivo 250 euro in contanti”.

9. Il politico: Giuseppe Caruso, presidente del consiglio comunale di Piacenza, è stato arrestato insieme al fratello Albino in quanto accusato di associazione a delinquere di stampo mafioso. Ritenuto parte integrante del gruppo criminale, i reati contesti nei suoi confronti fanno riferimento al periodo in cui era dipendente dell’agenzia delle Dogane. Secondo il gip, il politico in quota Fratelli d’Italia, “ha un ruolo non secondario nella consorteria“. Il nome dei fratelli Caruso compare soprattutto nella vicenda relativa alla “Riso Roncaia spa”, operazione talmente importante che, si legge nell’ordinanza, “è il terreno sul quale si è misurata la cifra criminale del sodalizio”. Tra le tante fasi, sono due i momenti cruciali: il primo si verifica nel 2015 quando la ditta Roncaia Riso spa ha gravi problemi economici. I gestori dell’azienda si rivolgono ai fratelli Caruso i quali si attivano per risolvere il problema. E’ Massimo Scotti, presidente del consiglio di amministrazione della ditta Roncaia, a dire nel corso di un’intercettazione: “E’ stato Ghizzoni, ha fatto intervenire l’ufficio legale di Unicredit”. Francesco Ghizzoni è l’allora amministratore delegato della Banca. Lo scoglio viene superato, ma la ditta Roncaia si rivolge nuovamente ai fratelli Caruso per risolvere un’altra questione. E’ questo il secondo momento ricostruito dagli inquirenti: l’azienda vince un appalto dal valore di 6 milioni e 800.000 euro, denaro fornito da Agea (Agenzia nazionale per le erogazioni dei contributi europei in agricoltura). L’appalto prevede la consegna del 5% del prodotto in poche settimane, pena il mancato pagamento della prima tanche dal valore di 2 milioni di euro. L’azienda non riesce a portare a termine questa prima fase dei lavori e chiede ancora una volta aiuto ai Caruso. Anche in questo caso il problema viene risolto con una certificazione falsa.

10. Considerazioni finali: l’operazione Grimilde è stata definita come la prosecuzione di Aemilia. Stessi territori presi in considerazione, stessa struttura organizzativa, stesse dinamiche criminali. I Grande Aracri, nelle zone di Parma, Piacenza, Modena e Reggio Emilia, e i loro rapporti con la cosiddetta area grigia. Professionisti, politici e imprenditori che collaborano con la mafia per trarre numerosi benefici, soprattutto in termini economici. Differenti, invece, i reati contestati ai politici. Nel processo Aemilia l’allora consigliere comunale reggiano Giuseppe Pagliani venne accusato di concorso esterno. Assolto in primo grado, condannato a quattro anni in appello, la Cassazione ha adesso deciso di far ripartire il processo. In questo caso, invece, il politico coinvolto è accusato di associazione mafiosa. Giuseppe Caruso, infatti, viene individuato come membro attivo della cosca, e non come semplice concorrente esterno. Molto simili, infine, le dinamiche di sfruttamento dei lavoratori: nel processo Aemilia la vicenda contestata si era svolta a Finale Emilia, all’interno della ditta di Augusto Bianchini (condannato a 9 anni anche per concorso esterno e caporalato). Nell’operazione Grimilde, invece, i fatti presi in esame si sono svolti a Bruxelles. Ultima nota: i reati contestati continuano a essere di matrice economica e questa è la dimostrazione di quanto la mafia emiliana giochi la propria partita su un campo prettamente economico e finanziario.