di Alessia Candito e Alberto Custodero. Pubblicato su Repubblica il 25 dicembre 2018.

Due killer col volto coperto hanno sparato almeno 20 colpi di pistola calibro 9 contro Marcello Bruzzese che stava entrando in auto nel garage di casa. L’uomo, scampato nel 1995 a un agguato in cui morirono il padre e il cognato, era inserito nel programma speciale di tutela dei collaboratori di giustizia da parte del Viminale.

Una pioggia di proiettili sparati per uccidere, un agguato in puro stile mafioso. È morto mentre tornava a casa nella sua auto, nel centro storico di Pesaro, Marcello Bruzzese, 51 anni, padre di due figli, fratello del pentito di ‘ndrangheta Girolamo. Secondo le prime ricostruzioni, attorno alle 18.30 i killer, con i volti coperti da cappelli e sciarpe, lo hanno atteso nei pressi di casa sua, in via Bovio. Hanno aspettato che la sua auto rallentasse per entrare in garage, poi gli hanno sparato decine di colpi con una o due pistole automatiche calibro 9. Bruzzese è morto nell’abitacolo dell’auto, mentre gli assassini si sono dileguati a piedi lungo le strette vie del centro storico di Pesaro.

Sul posto sono arrivati dopo pochi minuti i carabinieri chiamati da abitanti della zona che avevano sentito i colpi. Poco più tardi per coordinare le indagini, sono arrivati i pm Fabrizio Giovanni Narbone e Maria Letizia Fucci e dirigenti della Dda di Ancona. La pista della vendetta di ‘ndrangheta è apparsa subito la più plausibile, sia per le modalità dell’agguato e il numero dei colpi esploso, sia per l’identità della vittima. Bruzzese infatti viveva a Pesaro da circa tre anni non per scelta, ma perché sottoposto a uno speciale programma di protezione: abitava con la famiglia in una casa pagata dal ministero dell’Interno, inserito in un programma di protezione la cui segretezza non è stata evidentemente sufficiente a salvargli la vita.

Qual è stata la falla nel sistema di protezione del Viminale?

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