In data 7 maggio 2017 sul Corriere di Bologna è apparso un articolo dal titolo <<C’è l’ndrangheta e la Cgil perde iscritti>>. Una notizia in realtà già apparsa anche su altri giornali nei giorni precedenti. Ma al di là di questo, a cosa si fa riferimento nei vari articoli e quali ragionamenti o riflessioni possono aprirsi dietro notizie di questo tipo?

Come sapranno i molti che seguono attentamente gli sviluppi processuali in corso e gli amici della Banda e del sito “Mafie Sotto Casa” che sono ottime antenne per il nostro territorio, la Cgil dell’Emilia Romagna è stata ammessa parte civile in questo processo nel 2015 e le notizie date dalla stampa, avvengono proprio a seguito della presentazione in aula di uno studio commissionato al docente Alessandro Santoro. Ciò che emerge dal dossier non fa altro che confermare i timori della Cgil, se solo si pensa al fatto che dal 2004 al 2014 la Fillea-Cgil nelle province di Reggio Emilia e Modena (categoria dei lavoratori edili) avrebbe perso oltre 10.000 tessere per le sue azioni di contrasto al fenomeno.

Negli articoli poi si analizza anche il conseguente danno economico che avrebbe arrecato alla Cgil tutto ciò, aspetto però sul quale preferisco non entrare e limitarmi ad una paio di riflessioni sul significato politico, sociale e sindacale.

Il processo Aemilia è un grave danno politico per la nostra regione. Testimonia una forte sottovalutazione a partire dei livelli istituzionali del fenomeno malavitoso e della loro capacità di infiltrazione nell’economia. Ma il processo in corso rappresenta anche un danno sociale rilevante per quella che è sempre stata definita una delle regioni per eccellenza, quella della buona amministrazione dove tutto funzionava perfettamente. Oggi più che mai c’è bisogno di un bagno di umiltà, consapevoli che la lotta ai fenomeni malavitosi la si fa sicuramente con un quadro normativo e legislativo efficace, accompagnato da forti azioni di controllo sul territorio e non solo con i grandi spot della politica mediatica.

Infine, la cosa che mi riguarda più da vicino, l’ambito sindacale. Ancora una volta si dimostra il rapporto inversamente proporzionale tra l’illegalità e il diritto/tutela della persona nel lavoro.

Un sindacato che non mettesse nelle sue priorità la legalità, la difesa della libertà della persona e contro ogni tipo di discriminazione, finirebbe per accettare la sua stessa marginalizzazione e soprattutto finirebbe per non contrastare la sua ragione stessa di esistere che altro non è se non la difesa delle persone più deboli. Per questo ritengo che bene abbia fatto la Cgil regionale dell’Emilia Romagna a costituirsi parte civile e a ribadire, come ha fatto lo stesso Segretario Generale in udienza, che “l’attività sindacale ha bisogno della possibilità di partecipazione libera dei lavoratori, di una democrazia vera e non solo formale”. Ad ognuno di noi è chiesto di impegnarsi nella costruzione di una libertà e di una legalità vera, qualcosa che vada oltre i proclami e le cerimonie.

Milco Cassani