A voi la sesta puntata di #microfonoinmano, la nuova rubrica di Mafie sotto casa: l’intervista a Elly Schlein.

Elly Schlein è dal 2014 parlamentare europea. Il suo punto di osservazione parte da Strasburgo, sede del Parlamento europeo, città dove pochi giorni fa ha perso la vita il 29enne giornalista Antonio Megalizzi, e si allarga sull’Europa intera. Con lei abbiamo parlato di mafie e antimafia a cavallo dei confini italiani, convinti del fatto che ad una mafia internazionale si possa reagire soltanto con un’antimafia internazionale.

Secondo il rapporto di Europol del 2017 nei paesi membri dell’Unione europea sono attualmente sotto indagine circa 5mila organizzazioni criminali; sono 145, invece, le indagini sulle mafie italiane coordinate da Eurojust dal 2012 al 2016. Nessun paese, dunque, può considerarsi immune, così come ricostruito da Il Fatto Quotidiano in un’inchiesta sulle mafie europee. Sei d’accordo con questa conclusione? Ritieni l’Europa “terra di mafia”, con le organizzazioni criminale che condizionano la vita economica e sociale di pezzi di territorio, o la situazione ti sembra meno grave?

L’inchiesta del Fatto Quotidiano rappresenta un interessantissimo lavoro di mappatura delle mafie a livello europeo, insieme ad un documento fondamentale che è l’Organised Crime Portfolio, rapporto curato da Transcrime e finanziato dalla Commissione Europea, redatto in collaborazione con un team di università, anche italiane, e altri centri di studio europei. Il rapporto analizza i traffici illeciti delle diverse organizzazioni criminali presenti in Europa, ma soprattutto va a indagare in quali settori dell’economia legale dei vari Paesi europei si infiltrano le mafie. È un’amara constatazione, ma le mafie si sono approfittate del mercato comune europeo più di molte piccole e medie imprese europee, facendo affari agevolmente attraverso i confini nazionali, in tutto il continente. Stiamo parlando di profitti molto alti: ogni anno la criminalità organizzata ha un giro d’affari stimato intorno ai 110 miliardi di euro a livello europeo, circa l’1% del PIL europeo. Fa impressione pensare che si tratti di una cifra paragonabile all’intero bilancio dell’Unione europea per il prossimo settennato di programmazione. Per questo insistiamo con l’intergruppo parlamentare ITCO (Integrità, trasparenza, anticorruzione e antimafia), di cui sono Co-Presidente, che siano indispensabili e urgenti strumenti europei di contrasto alle mafie.

Negli ultimi anni sono stati fatti passi in avanti a livello normativo europeo o siamo ancora all’anno zero? Ci fai un quadro della situazione legislativa?

Non siamo all’anno zero, ma non siamo ancora soddisfatti, anche se alcuni obiettivi importanti in questa legislatura li abbiamo raggiunti. In quella precedente, nel 2014, fu finalmente approvata la direttiva sulla confisca dei beni, con il contributo importante di Rita Borsellino, che mi piace ricordare proprio per il suo impegno anche al Parlamento europeo nel contrasto al fenomeno mafioso. Alcuni Stati sono però ancora indietro con il recepimento della direttiva, e chiediamo alla Commissione europea di monitorare la situazione. Inoltre, alla direttiva manca un’integrazione fondamentale. Per questo nel 2015 presentai un’interrogazione parlamentare per chiedere alla Commissione quando intendesse effettuare uno studio di fattibilità sull’estensione della confisca anche ai casi in assenza di condanna, come previsto da una dichiarazione congiunta votata insieme alla direttiva. Stiamo ancora aspettando lo studio, che sarebbe dovuto uscire nel 2017.
Una bella notizia è che in ottobre abbiamo finalmente approvato l’altro provvedimento che in quella stessa interrogazione chiedevo alla Commissione europea di proporre: il regolamento sul mutuo riconoscimento dei provvedimenti di confisca e sequestro dei beni negli Stati membri. Europol stima che il 98,9% dei proventi illeciti rimanga in mano ai criminali: la migliore esperienza del contrasto alle mafie ci ha insegnato che vanno colpite sul denaro e sui beni, affinché la lotta sia davvero efficace. Il nuovo regolamento, presentato nel 2016 e approvato da Parlamento e Consiglio in ottobre, entrerà in vigore in tutto il territorio dell’Unione tra due anni.
Sempre in questa legislatura abbiamo votato un importante risoluzione di follow-up rispetto al lavoro della Commissione speciale CRIM della scorsa legislatura, in cui abbiamo ribadito la necessità di dare una definizione comune, a livello europeo, del reato di associazione a delinquere di stampo mafioso e dei reati connessi. Ed abbiamo indicato quali strumenti bisogna ancora mettere in campo ai fini di una maggiore cooperazione giudiziaria e di polizia per meglio contrastare il fenomeno mafioso a livello europeo. Il Servizio Ricerche del Parlamento europeo ha effettuato anche uno studio, consultabile online, sui costi della non-Europa nel contrasto a mafie e corruzione.
Infine, da quando nel 2014, per l’impegno che in tanti ci siamo presi con le campagne Riparte il Futuro-Restarting the Future di Libera e con Transparency, abbiamo costituito al Parlamento europeo l’Intergruppo ITCO, abbiamo organizzato diversi eventi sulle tante sfaccettature di questa piaga europea. A gennaio 2019 presenteremo al Parlamento Europeo il report “Amministratori sotto tiro”, di Avviso Pubblico.

Estendere a tutti i Paesi membri il reato di associazione mafiosa, possibilità di confiscare ricchezze non giustificabili anche in assenza di una condanna penale: sono queste le due cose che gli addetti ai lavori chiedono insistentemente. Perché questo non è ancora stato fatto? Troppi interessi in ballo o scarsa capacità, da parte dell’UE, di comprendere la gravità della situazione?

A mio avviso si tratta soprattutto di resistenze di tipo culturale: nelle culture giuridiche di alcuni Stati membri gli strumenti specifici che abbiamo inserito nell’ordinamento italiano per il contrasto alle mafie non sono capiti, perché mancano l’esperienza storica del fenomeno e la grande tradizione di contrasto ad esso. Ma dopo fatti come l’eccidio di Duisburg, diventa impossibile negare che gli altri Stati europei debbano tutti porsi più seriamente il problema di comprendere il fenomeno mafioso per contrastarlo con strumenti più efficaci. Qualche passo avanti importante è stato fatto, a breve dovrebbe arrivare lo studio della Commissione, del quale parlavo prima, sulla possibilità di estendere la confisca anche ai casi di assenza di condanna, e abbiamo appena approvato il Regolamento sul mutuo riconoscimenti degli ordini di confisca e sequestro, con scadenze certe per le risposte in merito al riconoscimento e all’esecuzione dei provvedimenti ed anche il riconoscimento dei diritti delle vittime di questi reati. Il fatto che si tratti di un regolamento, e non di una direttiva, è molto importante perché si tratta di uno strumento legislativo vincolante ed immediatamente applicabile in ogni Stato membro. Ma la strada è ancora lunga, anche in questo campo la lotta alle mafie è una battaglia che dev’essere anche culturale, e il nostro intergruppo è sorto proprio per sensibilizzare colleghi di Paesi diversi sulla necessità di strumenti europei di contrasto.

Droga e riciclaggio sono le due strade maggiormente battute dalle organizzazioni criminali in Europa. Per capire come si muovono, secondo te, si potrebbe guardare come le mafie operano in Italia? O secondo te la situazione in Europa assume connotati diversi?

Non tutte le mafie si muovono allo stesso modo, e si muovono senz’altro in maniera diversa anche a seconda del contesto culturale, economico e sociale in cui si trovano ad operare. Anche per questo è utile studiare il rapporto Organised Crime portfolio, citato prima, che fa una fotografia della situazione attuale e della presenza delle mafie in diversi Stati membri. L’ordinamento italiano è all’avanguardia nel contrasto alle organizzazioni mafiose, ed io sono convinta che abbia senso essere Unione europea se prendiamo l’esperienza e le buone pratiche sviluppate in uno Stato membro e riusciamo davvero a renderle patrimonio di tutta l’Unione. Anche perché troppo spesso le autorità degli altri Stati membri si trovano sprovviste delle competenze necessarie, quando si trovano di fronte a fatti di mafia. Servono più progetti di coordinamento e di scambio tra autorità investigative competenti a livello europeo. Sul riciclaggio abbiamo fatto enormi passi avanti con l’approvazione, in questa legislatura, della Quarta direttiva antiriciclaggio, che peraltro chiede registri obbligatori dei beneficiari finali di aziende e trust, accessibili a chiunque abbia un legittimo interesse. È stata una grande battaglia del Parlamento nel negoziato con i governi europei che siedono al Consiglio, ma siamo molto contenti del risultato ottenuto.

Un business emergente è quello legato al traffico di migranti e alla tratta di esseri umani destinati allo sfruttamento sul lavoro o sessuale. La nuova ventata di destra e estrema destra che sta attraversando l’Europa come si colloca, secondo te, in questo scenario?

Purtroppo il traffico di essere umani continua ad essere molto redditizio, un crimine odioso consumato sulla pelle delle persone più povere e disperate. L’unico modo per contrastare seriamente i trafficanti di esseri umani è fornire un’alternativa legale: vie legali e sicure d’accesso all’UE e a tutti i paesi europei, con appositi schemi di corridoi e visti umanitari, piani di reinsediamento adeguati per chi fugge da guerre e violenze, e la revisione di le leggi migratorie nazionali come la Bossi-Fini che non prevedono praticamente alcun modo di entrare in Italia legalmente anche per chi cerca una vita senza fame. Le destre si muovono con estrema ipocrisia: le politiche di esternalizzazione delle frontiere che spingono da anni non hanno fatto altro che produrre nuove rotte, sempre più pericolose, e sempre più redditizie per i trafficanti. Per non parlare del fatto che leggi criminogene, come la Bossi-Fini, che producono “irregolarità”, rendono i migranti ricattabili da datori di lavoro senza scrupoli che li sfruttano nei campi o nelle aziende, anche con gravi fenomeni di caporalato. Ma questo governo vigliacco, forte coi deboli e debole coi forti, se la prende solo coi migranti irregolari, mai coi datori di lavoro italiani che li sfruttano.

Se l’intervista ti è piaciuta, non tenerla per te: condividila con le persone a cui pensi possa interessare!

E non perderti l’appuntamento del prossimo mese con #microfonoinmano, le interviste di Mafie sotto casa 🙂