La notte del 28 gennaio 2015, contemporaneamente ad Aemilia, viene portata a termine in Calabria l’operazione Kyterion. Ancora una volta al centro delle attività investigative la cosca Grande Aracri il cui cuore pulsante rimane Cutro, ma le cui braccia e mani sono arrivate fino in Emilia Romagna. Se in questi tre anni sono già giunte le sentenze di primo e secondo grado per quanto riguarda gli rito abbreviato di Aemilia, ad oggi il rito ordinario è invece in corso presso il tribunale di Reggio Emilia.

Due giorni fa, intanto, il tribunale di Crotone ha pronunciato la sentenza nei confronti degli undici imputati che, nell’ambito del processo Kyterion, hanno optato per il rito ordinario. Nessuna assoluzione, ma condanne che partendo dai 6 anni di reclusione arrivano fino ai 16. Tra gli undici nomi condannati non compare quello del boss Nicolino Grande Aracri, in quanto già condannato con rito abbreviato a 30 anni di reclusione.

L’operazione Kyterion prima e l’omonimo processo dopo hanno posto al centro della lente investigativa i rapporti della cosca con la Massoneria, il Vaticano e persino la Corte Suprema di Cassazione. Proprio per queste motivazioni, ad essere condannati non sono stati solamente gli appartenenti in senso stretto alla cosca, ma anche quei soggetti esterni che, da sempre, permettono alle organizzazioni criminali di insediarsi all’interno di un territorio e di portare a termine i propri progetti e piani. In questo caso, ad essere stato condannato è l’avvocato Rocco Corda il quale, accusato inizialmente di associazione a delinquere di stampo mafioso, viene individuato dal PM Domenico Guarascio come “intermediario negli affari del boss Nicolino Grande Aracri mediante consistenti investimenti finanziari e immobiliari”. Se la pena richiesta era di 8 anni, per Corda la condanna pronunciata dal tribunale di Crotone è di 6 anni e 8 mesi insieme alla sospensione dell’attività forense per tre anni e la riqualificazione in concorso esterno, e non in associazione di stampo mafioso.

Stessa decisione presa per Alfonso Pietro Salerno, condannato però a 10 anni di reclusione, a fronte dei 12 chiesti dall’accusa. Salerno, invece, viene descritto come “filtro per le visite all’abitazione di Grande Aracri dei soggetti che provenivano da altri contesti territoriali e che intendevano conferire con il capo”. Un nome ben conosciuto in Emilia Romagna è quello di Vito Martino, considerato uno dei vertici del gruppo criminale e soprattutto accusato di aver gestito numerose attività illecite della cosca nel periodo di detenzione di Nicolino Grande Aracri. Se la pubblica accusa del processo Kyterion ne aveva chiesto una condanna a 12 anni il tribunale ha deciso di aumentare la pena a 15 anni di reclusione.

Coinvolto nel processo non solo il gruppo criminale originario di Cutro e facente capo a Nicolino Grande Aracri, ma anche la cosca proveniente da Isola Capo Rizzuto le cui attività si sono prevalentemente focalizzate sulla gestione e sul controllo dei villaggi turistici del territorio. In questo caso, i reati contestati spaziano da estorsione aggravata dal metodo mafioso a delitti in materia di armi.

Condanna rialzata (10 anni contro gli 8 chiesti dall’accusa) anche per Salvatore Scarpino, detto “Turuzzo”. Scarpino è secondo gli inquirenti un uomo che “per conto della consorteria cutrese si impegna in operazioni finanziarie e bancarie, e mantiene contatti diretti e frequenti con il capo locale Grande Aracri Nicolino“, facendo “da intermediario tra questi e altri soggetti estranei all’associazione al fine di consentire l’avvicinamento a settori istituzionali anche per il tramite di ordini massonici e cavalierati“. Lo stesso Scarpino, in una conversazione intercettata dagli inquirenti, spiegava proprio l’importanza del rapporto tra boss e massoni: “Ho un problema, per esempio, lo vedi per esempio ho un problema su Roma, qualsiasi tipo di problema… Gli dico io ho questo problema. Loro hanno il dovere … siccome è una massoneria, siamo. Cioè uno, quando uno di noi ha un problema, si devono mettere a disposizione… E devono risolverlo il problema”.

Tre riflessioni, infine.

In primo luogo è utile comprendere come questo processo e le condanne da esso derivanti siano di fondamentale importanza per capire cosa, oggi, viene raccontato all’interno dell’aula del tribunale di Reggio Emilia dove si sta svolgendo il processo Aemilia. Sono tanti i nomi che tornano e ritornano, così come i reati contestati e le modalità con le quali sono stati commessi.

In secondo luogo, non possiamo non notare come il tribunale di Crotone abbia scelto, per molti imputati, di aumentare la condanna richiesta, invece, dalla pubblica accusa. Segnale che l’impianto accusatorio, oltre a reggere alla perfezione, ha trovato nella Corte la volontà di colpire in maniera più decisa tutti coloro che della cosca si servono o si sono serviti.

Ed infine, come spesso proviamo a spiegare, teniamo alta la guardia. Queste condanne così pesanti sono il segnale, sí, che la cosca Grande Aracri è ormai in grandissima difficoltà. Ma questo non vuol dire “disfatta”. Altri, per i Grande Aracri o in maniera del tutto autonoma, si stanno riorganizzando e stanno stabilendo nuovi equilibri di potere. Anche e soprattutto in Emilia Romagna.

le condanne
Rocco Corda, 6 anni e 8 mesi (chiesti 8);
Santo Maesano, 12 anni (chiesti 10);
Albano Mannolo, 7 anni (chiesti 9);
Leonardo Mannolo, 7 anni (chiesti 9);
Vito Martino, 15 anni (chiesti 12);
Antonio Riillo, 11 anni (chiesti 10);
Carmine Riillo, 11 anni (chiesti 10);
Domenico Riillo, 16 anni (chiesti 16);
Giuseppe Riillo, 11 anni (chiesti 10);
Alfonso Pietro Salerno, 10 anni (chiesti 12);
Salvatore Scarpino, 10 anni (chiesti 8).